L’intensa azione di contrasto che le autorità italiane stanno attuando nei confronti dei prodotti provenienti dalla Cina, molto spesso contraffazioni di oggetti del”Made in Italy” (abbigliamento e pelletteria) oppure merci che risultano dannose per la salute umana (violazione di elementari norme di sicurezza utilizzo di materie prime tossiche), ha dato luogo a una reazione cinese che dimostra una aggressività che dovrebbe preoccupare il mondo occidentale.
La recente notizia del sequestro, avvenuto nella ricca regione dello Zhejiang da parte del locale Dipartimento per l’Industria e il Commercio, di prodotti delle principali griffe italiane (ma non solo: sono stati sequestrati addirittura camicie di Hermes), scandalizza ed indigna i nostri produttori. Certi della qualità di manufatti realizzati al 100% in Italia, nel pieno rispetto delle rigorose norme comunitarie e delle “regole” di qualità che hanno reso famoso il “made in Italy” nel mondo, Versace, Dolce & Gabbana, Trussardi e altri marchi hanno espresso il loro stupore nei confronti del provvedimento.
Le autorità locali, che hanno decretato che le merci sequestrate non soddisfano “gli standard di qualità richiesti per i beni di lusso”, lamentano difetti che non sono assolutamente verosimili . Il China Daily cita irregolarità quali “colori non sicuri”, presenza nei tessuti di acidi e formaldeide “che possono portare ad irritazioni cutanee, oculari, allergie e problemi respiratori”. Impossibile il verificarsi di tali inconvenienti su prodotti per i quali la qualità della lavorazione è un must fondamentale per presentarsi sul mercato.
I sospetti nei confronti della credibilità delle autorità cinesi aumentano se si tiene presente che i prodotti sequestrati rappresentano il 60% di quelli presi in esame, ovvero 48 su 85: una percentuale troppo elevata per essere vera, su capi di abbigliamento che sono da anni esportati in tutto il mondo, compreso il mercato Usa che sulla sicurezza e la salute dei consumatori a una legislazione molto attenta e rigorosa.
Quanto avvenuto, oltre ad essere un fatto di notevole gravità, dovrebbe costituire un forte richiamo ad una maggiore attenzione nei confronti della reciprocità nell’ambito dei rapporti commerciali. La Cina ha un enorme bisogno di mercati di sbocco per i suoi prodotti di massa (ma di qualità molto discutibile) e finora con scarsa lungimiranza i governi europei hanno accettato una vera è propria invasione di merci cinesi nella speranza di potersi accaparrare un mercato di oltre 1 miliardo di consumatori ai quali vendere le proprie produzioni.
Ricordiamo che qualche anno fa l’Europa non esitò ad esporre i rischi della concorrenza cinese il tessile italiano, nella speranza di poter invece creare un mercato per le produzioni meccaniche dei Paesi dell’area nordeuropea. Ora che la svedese H&M, la spagnola Zara e la francese Hermes vedono sequestrati i loro capi d’abbigliamento nel corso di quello che è stato indicato come un “controllo di routine”, forse i governi europei inizieranno ad aprire gli occhi su un Paese che mostra una inedita spregiudicatezza nel commercio internazionale.
Il sequestro delle merci rappresenta una pubblicità che danneggia immensamente (ed ingiustamente) i brand del lusso internazionale, per il quale la Cina rappresenta un mercato attraente, in grado di assicurare il 35% della crescita delle vendite nel settore per il 2010, secondo un’analisi di HSBC.
La disponibilità di risorse, in rapida e consistente crescita, che un gran numero di cinesi possono dedicare ai beni di lusso è però anche d’interesse per le autorità locali. Il capitalismo cinese non è “di mercato”, ovvero in mano alla libera concorrenza tra aziende, ma è saldamente in mano ad uno Stato che è ancora una dittatura, dove persino la libertà di stampa è fortemente limitata.
Quindi è perfettamente plausibile che le critiche rivolte ai prodotti del lusso internazionale siano finalizzate a distruggere la loro reputazione, indirizzando i “nuovi ricchi” con gli occhi a mandorla verso prodotti locali. Così come i giovani cinesi preferiscono i brand Li Ning o Anta piuttosto che Nike o Adidas, e i marchi più popolari dell’elettronica siano Haier and Galanz.
Le autorità cinesi stanno lavorando a rimuovere nella mente dei consumatori la convinzione che il prodotto estero sia migliore del locale, in modo da incrementare la crescita della produzione anche con il consumo interno (stimato in 12,5 trilioni di yuan per il 20101), oltre che con le importazioni.
Dopotutto, dovrebbe stupire tanto zelo in un Paese che solo nel 2008 ha subito il disastro del “latte alla melamina”, che ha causato la morte di almeno sei bambini e l’intossicazione, con problemi renali, di altri 300 mila piccoli.
L’Europa dovrebbe al più presto operare in modo coeso e coordinato per contrastare i danni che alle economie nazionali possono provenire dai comportamenti arroganti aggressivi di questa pericolosa potenza industriale.