L’emergenza climatica e l’empatia: l’utopia di Jeremy Rifkin

L’economista Jeremy Rifkin, nel suo più recente volume "La Civiltà Empatica" descrive uno scenario mondiale in cui l’evoluzione climatica avrebbe un ruolo centrale nel modificare il comportamento del genere umano. Dopo aver sottolineato la gravità del riscaldamento globale del pianeta, indicandola come “la minaccia più grande che il genere umano si sia mai trovato ad affrontare”, propone come soluzione un nuovo modello di società basato sull’empatia.

Con tale termine egli descrive un comportamento umano basato sulla compassione, la partecipazione e la solidarietà, che indica come contegno più “naturale” per la specie umana, anche alla luce delle recenti scoperte scientifiche (quali ad esempio l’identificazione dei neuroni specchio), in contrapposizione con la visione illuministica, in base al quale gli uomini sono esseri razionali che perseguono il proprio personale interesse.

Rifkin ha così dichiarato in un’intervista al New Scientist: “I nostri leader stanno usando idee del XVIII secolo per risolvere i problemi del XXI”… “Ma è possibile risolvere i problemi della biosfera e di 7 miliardi di persone se siamo indifferenti, privi di passione e guidati solo dai nostri interessi personali?”

L’empatia evocata da Rifkin, nel concreto è riferita alle politiche climatiche “sostenibili”, a cui diverse potenze economiche non hanno mai aderito, mentre altre si stanno rapidamente allontanando, sull’onda di pesanti sconfitte elettorali. L’ultima, in ordine di tempo, di Sarkozy, che all’indomani dal disastroso risultato delle urne ha rinunciato alla “carbon tax” da lui tanto desiderata, per placare lo scontento espresso dai suoi cittadini.

Siamo alle porte di una Terza rivoluzione industriale, in cui la condivisione delle responsabilità nei confronti della biosfera guiderà il pianeta verso il risparmio energetico e l’abbandono dei combustibili fossili e del nucleare in favore delle fonti energetiche rinnovabili?

Personalmente, non credo ad una relazione così stretta tra i rapporti interpersonali e l’ambiente. Innanzitutto, perché, concretamente, non solo “i leader”, ma i semplici cittadini sono in gran parte indifferenti ai temi ambientali: lo si può osservare dal successo di vendite dei Suv, dall’esigua quota di rifiuti che vengono riciclati, dall’enorme consumo di prodotti alimentari che provengono dall’altra parte del mondo. I consumi e i comportamenti della popolazione sono stati influenzati dalla crisi economica, non dal riscaldamento globale e tutti attendono la ripresa per recuperare i precedenti livelli di spesa.

Sono i media, indotti da alcuni gruppi di pressione, quali gli ambientalisti, a evocare drammi epocali sul nostro futuro, ma le loro proposte presentano costi non sostenibili per la società, specialmente nel contesto della crisi economica ancora in atto. Ipotizzare un “impatto zero” sul clima, alla luce delle attuali tecnologie, non è possibile: significherebbe fermare le auto, limitare l’energia elettrica alle industrie, cambiare radicalmente stile di vita. E’ corretto considerarlo un obiettivo per il quale lavorare, ma agendo sul lato della ricerca, affinché siano disponibili sistemi più efficienti di produzione di energie “pulite”, non sul lato dei vincoli all’economia.

Le società, per Rifkin, sono cresciute e prosperate “ai danni dell’ambiente”: ma oggi non si può bloccare l’economia, distruggendo il benessere dei cittadini, per una visione utopistica di “impatto zero” che le attuali tecnologie non consentono di realizzare.

I governi non possono farlo: il costo sociale, in termini di disoccupazione non sarebbe sostenibile, perché l’empatia descritta da Rifkin non esiste; lui stesso si basa su prove molto labili: il fatto che Internet abbia fatto conoscere “in diretta” il dramma del terremoto di Haiti non significa che il mondo sia diventato più solidale di un tempo. Ora mandiamo due euro via sms seduti comodamente sul nostro divano, mentre negli anni Sessanta, per la tragedia indiana, ci si recava di persona a versare il proprio contributo. Quindi, affermare che Internet ci ha trasformato in un villaggio globale dove tutti solidarizzano con tutti è forse segno di un ottimismo un po’ eccessivo.

Indubbiamente le persone tendono a collaborare e convivere pacificamente, ma senza rinunciare ai propri interessi personali: questi sono il primo, essenziale obiettivo delle nostre azioni. Nessuno rinuncia ad usare l’auto per evitare che si sciolgano i ghiacci del Polo Nord, figurarsi se accetta di diventare disoccupato! Invece di chiedere rinunce ai cittadini, il compito degli economisti – come Rifkin – è di proporre modelli di sviluppo sostenibili, ma che consentano di migliorare le proprie condizioni di vita (come è sempre avvenuto nell’evolversi della civiltà), senza richiamarsi ad una “solidarietà” che il singolo cittadino – ovviamente – non ha nessuna intenzione di accettare.

Francesco Chiappetta
Il prof. Francesco Chiappetta, manager d'azienda, è stato docente universitario di vari atenei. Ha profonda esperienza comprovata da incarichi importanti in azienda leader nel settore delle telecomunicazioni. La sua esperienza diversificata ha l’obiettivo di fornire consulenza direzionale, innovativa e approfondita. E' iscritto all'albo dei giornalisti dal 2005, successivamente nel 2007 pone un’iniziativa editoriale, per la società Si -ies, fondando Sentieri Digitali E-magazine di creatività e tecnologia per la comunicazione d’impresa. L’obiettivo di Sentieri Digitali è dedicato alla Comunicazione d’impresa in senso lato: ovvero dalle grandi imprese alle pmi e gli artigiani, dai professionisti alle PA, dal Marketing agli obblighi d’informazione per le società quotate. L’intero contesto dell’e-magazine è incentrato sui passi evolutivi della trasformazione digitale.

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