"La città che mangia", conferenza sulla ristorazione collettiva

Il 13 aprile, presso la nuova Fiera di Roma, la conferenza di apertura della manifestazione Ecopolis, intitolata ’La città che mangia’, ha riservato autentiche sorprese. L’argomento non era facile: la ristorazione collettiva può essere sostenibile? E una metropoli può alimentarsi in modo ecologico? I tentativi ci sono, e di successo.

Luigi Vella, della DSU Toscana-Firenze, che serve 1.500.000 pasti l’anno agli studenti universitari della città, ha fatto della sostenibilità e dell’ecologia la propria missione. Una scommessa vinta grazie alla scelta di prodotti tipici e locali: i menu ruotano con le stagioni e le ricette appartengono alla tradizione toscana, per dare ampio spazio a verdura e frutta di stagione e ai prodotti tipici e biologici.

Un esempio virtuoso di ristorazione collettiva, dall’educazione degli studenti (‘gli adulti di domani’) al risparmio e al riciclo, agli accordi con i piccoli produttori e artigiani locali (come l‘azienda agricola Alberese, che gli studenti sono invitati a visitare), dalla gestione dei rifiuti (separati dai ragazzi già a fine pasto e avviati al riciclo) a quella degli scarti di lavorazione (ridotti grazie al procedimento del ‘cook and chill’, che permette di disporre di alimenti precotti e surgelati da riscaldare al momento).

Le bottiglie di plastica non circolano sui tavoli delle mense: l’acqua proviene dall’acquedotto comunale e viene servita in caraffe, mentre le bevande gassate e i succhi di frutta sono alla spina. Ma il vero segreto di Vella è un nuovo metodo organizzativo che parte dall’alimento a disposizione (di stagione e locale) per costruirvi, su misura, le ricette: un buon sistema per coniugare gradimento, tradizione e rispetto dell’ambiente.

Il giro del mondo prosegue con il Food Policy Coordinator di New York, figura istituita tre anni fa dal sindaco della metropoli con il compito, tra gli altri, di combattere le cattive abitudini alimentari e le malattie che ne derivano.

Mappa della città alla mano, si è osservato che i sobborghi più poveri hanno scarso accesso a frutta e verdura fresche che, paradossalmente, costano più di altri alimenti (carne compresa): l’incidenza di obesità e diabete è sensibilmente più alta rispetto ai quartieri che si alimentano meglio.

Benjamin Thomases ha raccolto la sfida con un programma integrato che prevede il supporto dei farmers’ markets, più di 100 in tutta la città, l’educazione nelle scuole e l’introduzione di menu bilanciati nelle mense scolastiche, che utilizzano spesso prodotti locali e la collaborazione con i piccoli rivenditori, incoraggiati ad aderire alla campagna vendendo cibo verde ed esponendo il logo FRESH (Food Retail Expansion to Support Health).

Oggi il lavoro di Thomases è più facile, grazie al 2008 Farm Bill che, come spiega Karen Karp, permette alle pubbliche amministrazioni di indire gare d’appalto per approvvigionarsi di prodotti locali e di stagione (prima considerati requisiti discriminatori).

Karen Karp è una minuta ma energica signora americana che si autodefinisce ‘food system facilitator’ e lavora come consulente per la grande distribuzione e le municipalità. Al suono dello slogan ‘good food is good business’ mette in collegamento i produttori (soprattutto se piccoli e locali) e la grande distribuzione. Lo ha fatto, ad esempio, per gli agricoltori della Repubblica Dominicana e per una moltitudine di piccoli produttori americani.

Anche in America Latina, il problema della malnutrizione e delle errate abitudini alimentari è affrontato nelle scuole: le mense scolastiche sono un luogo di formazione ed educazione, dove gli scolari spesso ricevono l’unico pasto della giornata, ma anche il mercato di sbocco per molti produttori locali (i campesinos) e un modo per fare ecologia.

L’italiano Valter Boi, che finanzia a distanza una mensa-doposcuola per centinaia di bambini brasiliani vicino Fortaleza, raccoglie e seleziona alimenti avanzati alla grande distribuzione e ristorazione, e i governi incoraggiano la partecipazione dei cittadini.

In Italia, invece, l’assenza di politiche pubbliche è stridente. Solo la Coldiretti agisce concretamente, con l’iniziativa ‘Campagna Amica’, che mette in contatto diretto consumatori e agricoltori.

Sergio Marini, portavoce dell’associazione, non nomina la parola bio, ma i punti di interesse sono molti: alimenti freschi e “a chilometri 0”, “prezzo amico” (circa il 30% in meno rispetto alla media dei prezzi calcolata dalle associazioni dei consumatori), rete di 550 mercati locali, prodotti di stagione, compostaggio dei rifiuti (praticato da produttori e venditori).

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