I dati sulla disoccupazione giovanile narrano un paese in difficoltà, nel quale le nuove generazioni faticano a trovare lavoro e a costruirsi una vita autonoma dalla loro famiglia di origine. Gli effetti della crisi finanziaria hanno peggiorato sensibilmente la situazione dei giovani, riducendo ancora di più la loro presenza nel mondo del lavoro.
Una situazione complessa, per il quale la politica non riesce a proporre una soluzione concreta, se non il demagogico invito ad assorbire i giovani nella Pubblica Amministrazione: proposta inaccettabile, alla luce dello stato dei conti pubblici e di quanto sta avvenendo nel resto d’Europa, dove molti paesi stanno tagliando la spesa pubblica anche riducendo il numero di dipendenti dello Stato.
Il mondo moderno ha finora visto due forme di economia: l’economia pianificata di stampo sovietico, in cui è lo Stato centrale a decidere come deve evolvere la forza lavoro nelle diverse specializzazioni, e l’economia di mercato, in cui lo Stato mette a disposizione un sistema formativo a cui i giovani accedono in base alle proprie scelte personali.
La Storia ha decretato definitivamente il fallimento dell’economia pianificata: la forza del mercato anche se con infinite imperfezioni, riesce a portare il sistema economico ad un livello di efficienza che assicura benessere ai cittadini. Nel nostro Paese, quanto è avvenuto dal dopoguerra ad oggi è lì a dimostrarlo: la quasi totalità degli italiani vive in confortevoli abitazioni (per l’83% di proprietà), possiede un’automobile, può concedersi diversi “sfizi”: gadget di tecnologia, vacanze, abiti griffati, cene al ristorante.
Sul benessere raggiunto, ora pesa l’incertezza per il futuro dei giovani: disoccupati, precari, a volte perfino “neet”, giovani che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro (sono circa 2 milioni, il 21% della fascia di età 15-29 anni), e che quindi trascorrono le loro giornate nella più completa (e dannosa) apatia.
Cosa fare? Siamo un’economia di mercato, e quindi quanto di meglio si possa fare è lasciare che sia il mercato a portare equilibrio nel mondo dei giovani. Come si evince dai dati dell’ultima ricerca di Unioncamere, che traccia la mappa delle opportunità di lavoro qualificato che le aziende non riescono ad acquisire, mostrando che la disoccupazione giovanile è in gran parte causa di uno squilibrio nelle scelte formative.
Allo stato attuale, le aziende sono alla ricerca di 42mila laureati e 88mila diplomati tecnici e professionali; la domanda di laureati che le aziende non trovano, si riferisce all’indirizzo tecnico-scientifico (ingegneria, matematica, fisica, biologia, geologia, chimica, farmacia, agraria), mentre per i diplomati il gap riguarda tutta l’area tecnica e professionale.
La crisi dell’occupazione giovanile ha le sue radici in due elementi fondamentali: innanzitutto, una eccessiva facilità nel conseguire un diploma o una laurea, al punto che spesso i giovani si presentano alle imprese con una preparazione carente, che richiederebbe un investimento formativo eccessivo da parte dell’azienda.
In secondo luogo, la scarsa selezione produce “troppi” laureati nelle discipline in cui la domanda di lavoro è più scarsa: Scienze del Beni Culturali, Lettere e Filosofia, Storia, sono discipline in cui ogni anno dovrebbero esserci pochi laureati eccellenti, veramente capaci e preparati. Pochi, proporzionati a quanto il mercato (PA, editoria, ecc) può assorbire, e con il livello di conoscenze adeguato a rendere profittevole la loro presenza nella struttura, pubblica o privata, che li assume.