La notizia dell’acquisizione di uno dei più famosi marchi del lusso italiano da parte del gruppo francese Lvmh costituisce un segnale di allarme per il futuro del nostro Paese. Se la famiglia di gioiellieri italiani ha preferito vendere il pacchetto di controllo di Bulgari a Bernard Arnault, rinunciando all’autonomia imprenditoriale in nome di future "economie di scala"e "sinergie" per affrontare la globalizzazione dei mercati, significa che l’imprenditorialità italiana sta entrando in crisi anche nel settore del lusso. Come ha ammesso l’AD Francesco Trapani, nipote di Nicola e Paolo Bulgari "l’ultima generazione è costituita da persone che hanno interessi ed attività che nulla hanno a che fare con il business". Una dichiarazione esplicita delle difficoltà di realizzare a termine il passaggio generazionale che costituisce la solidità e la fortuna di altri gruppi nazionali, quotati e non: da Benetton a Ferrero, da Luxottica a Barilla.
La vendita del pacchetto di controllo è avvenuta a condizioni definite da Trapani "estremamente interessanti" (4,3 miliardi di euro), ma che di fatto impoveriscono il mondo del lusso italiano, che di recente ha già perduto Fendi, Gucci, Valentino e i più "piccoli" brand Emilio Pucci e La Perla. Nel frattempo, i cinesi sono entrati con l’8% nel capitale di Salvatore Ferragamo e diversi soggetto guardano con interesse a Giorgio Armani. Il Made in Italy, sta diventando patrimonio dei francesi (i gruppi capitanati da Arnault e Pinault) svuotandosi progressivamente di quella "italianità" che l’ha reso famoso nel mondo, diventando sempre più spesso un simbolo del lusso "globale" amministrato da Parigi o da un fondo di private equity e realizzato materialmente in fabbriche fuori dai confini nazionali.
Il nostro Paese ha rinunciato all’industria pesante (siderurgia) e alla chimica, nonostante la plastica moderna (polipropilene o moplen) sia stata inventata nel 1954 dal Premio Nobel per la chimica Giulio Natta. Il design e la moda, negli Anni Ottanta, avevano disegnato un nuovo modello di sviluppo nato dal basso, dalla creatività e dall’iniziativa dei singoli, incontrando un grande favore nei mercati internazionali. L’avvento della globalizzazione, subita dal nostro Paese senza un’azione di governo "bipartisan", svolta nel bene dell’Italia, ha aperto vasti spazi all’ingresso del tessile a basso costo e alla nascita di centinaia di laboratori irregolari in cui migliaia di cinesi clandestini lavorano senza sosta e senza diritti, proponendosi a costi irrisori alle griffe della moda e sostituendo i "terzisti" italiani, molti dei quali hanno chiuso la loro attività.
Turismo ed agroalimentare di qualità possono essere la nuova frontiera del Made in Italy, ma anche in questi settori è necessaria un’azione di coordinamento della politica, tesa a tutelare i prodotti nazionali e a promuovere il brand italiano nel mondo, augurandosi che in questo caso l’azione della politica sia di accordo bipartisan e non di sterile e polemica contrapposizione.