L’attenzione internazionale sul debito pubblico dei paesi denominati con l’acronimo PIIGS è sfociata in un allarmante attacco della speculazione finanziaria nei confronti dell’Italia, i cui danni potenziali sono immensi in termini di costo del finanziamento del debito pubblico, che sfiora circa il 120% del Pil, un valore critico sul quale è giunto il momento di riflettere. Inutile recriminare su chi e come si è generato, meglio riflettere su come evitare che esso condizioni il futuro della politica economica e le possibilità di crescita del Paese.
E’ chiaro che una politica di incentivi alle imprese, che pure sarebbe necessaria per smuovere il Paese da una allarmante "crescita zero" non è sostenibile, anche se necessaria; è altrettanto evidente che l’ipotesi di una patrimoniale potrebbe fare allontanare i capitali verso lidi più riparati, deprimendo ancora di più gli investimenti in Italia. Ma si deve ridurre il deficit e il debito, come richiesto dalla UE.
Quanto sta avvenendo nell’iter di approvazione della manovra economica è emblematico: chiunque vede anche solo scalfiti i suoi interessi, rifiuta decisamente la misura che lo riguarda. Si scende in piazza per difendere qualsiasi "diritto", tutti hanno ragione, ma l’insieme di questi "diritti" sta distruggendo il Paese. Per prima la politica, il cui costo complessivo è stato stimato in oltre 23 miliardi annui e sul quale nessun governo ha mai operato tagli significativi.
Ora è necessario che l’Italia esprima una responsabilità collettiva, un consenso generalizzato a risanare i conti pubblici rinunciando – TUTTI – a costosi privilegi, "diritti acquisiti", rendite parassitarie. E rapidamente, non si può attendere il 2014, bisogna fare in fretta. Prima che sia lo spread BTP-Bund a indicare che il tempo è scaduto.