La Tobin Tax, annunciata dal presidente dell’esecutivo UE quale sistema comune di tassazione sulle transazioni finanziarie, non è la soluzione alla crisi in atto. Tassare dello 0,01% i derivati e dello 0,1% i contratti spot non serve né ad allentare la speculazione sul debito dei Paesi Europei, né a drenare risorse dalla finanza.
Innanzitutto, la previsione del gettito si basa semplicemente sul volume attuale delle transazioni, producendo un risultato – 55 miliardi di euro – sovrastimato, perché non tiene conto del comportamento degli investitori, che trasferiranno i loro investimenti su piazze extra UE, come hanno fatto osservare i ministri di Gran Bretagna e Svezia.
Inoltre, gli esperti di Bruxelles avrebbero dovuto riflettere sulle esperienze di chi ha già provato la Tobin Tax. Lo studio dell’Istituto Bruno Leoni ("Le promesse e i pericoli della Tobin Tax", di Emilio Rocca) riporta l’esempio svedese, che nel 1984 adottò un’aliquota dello 0,5% su tutti gli acquisti di titoli azionari e stock options, valore raddoppiato nel 1986, ed esteso anche ai titoli obbligazionari: «gli assets si svalutarono immediatamente per riflettere il valore attuale dei futuri pagamenti all’erario. Numerosi studi trovarono un aumento statisticamente significativo nella varianza giornaliera dei rendimenti durante il periodo in cui l’imposta è rimasta in vigore . [… ] Questo aumento si verificò perché gli investitori richiesero dei rendimenti sempre più alti per detenere dei titoli sempre più tassati. Come effetto secondario, alla Tobin Tax svedese è stato imputato di avere limitato le espansioni societarie, l’occupazione e in generale la raccolta di capitali».
Le critiche di Obama alla politica europea, forse, non sono immotivate.