Un politico che tenta di influire sulle assunzioni di una nuova sede Ikea e che ottiene in risposta una formale lettera di protesta da parte dell’azienda. Su questo fatto vi sono stati molteplici commenti, ma la vera “notizia” è un’altra: cosa spinge i giovani italiani a contendersi, in rapporto di dieci domande per un’assunzione, un posto di lavoro, assolutamente non qualificato di magazziniere, commesso, cassiere, cameriere? Talmente ambito da richiedere l’interessamento di un politico locale?
L’unico elemento possibile è da ricercarsi nella solidità della multinazionale del mobile, nel miraggio della certezza di un impiego che duri nel tempo. Emerge, da questo episodio, una domanda di sicurezza da parte dei giovani, che non appariva nelle precedenti generazioni. Anche i sondaggi sulle preferenze occupazionali privilegiano il "posto fisso" a prescindere dal suo contenuto: non vi sono più sogni di imprenditorialità, né di impiego autonomo. Negli anni Ottanta si desiderava il successo, sia sociale che economico, ci si "vedeva", in futuro, imprenditore, manager, professionista: ora le aspettative sono ben più modeste.
E’ un elemento preoccupante per il futuro del Paese: se anche i più giovani non vogliono rischiare, dove sono i nuovi imprenditori e le menti brillanti ma fuori dalla regola, che potranno guidare la futura crescita economica? Perché si deve prendere coscienza che la crescita non avverrà per decreto legge né distribuendo soldi alle imprese e/o ai consumatori. Avverrà se qualcuno avrà il coraggio di innovare, di rischiare proponendo nuovi prodotti, nuovi servizi, nuove modalità di produzione o consumo. Senza sapere a priori se avrà successo, ma solo perché ci crede. Questo è il compito dei giovani: spetta al Governo e alle Imprese dare loro spazio e fiducia, affinché possano trovare le forze necessarie a "liberare" il loro potenziale innovativo.