Lo "spread formativo" dell’Italia rispetto alle maggiori economie mondiali non trova soluzione né nell’ipotesi di riduzione delle vacanze estive al solo mese di agosto, né nella permanenza anche pomeridiana dei giovani nelle aule.
Perseguendo i suoi obiettivi primari, la scuola dovrebbe essere il luogo dove le nuove generazioni apprendono il sapere, umanistico e scientifico, e le regole per vivere nella comunità, diventando capaci lavoratori e buoni cittadini. Ciò non avviene nella scuola italiana, come evidenziano i deludenti risultati riportati dai nostri allievi nei test internazionali e come testimoniano imprenditori e dirigenti d’azienda, lamentando la difficoltà a trovare personale che abbia una solida formazione di base.
Questa situazione è stata determinata dal progressivo affievolimento del senso del dovere e dell’impegno personale che, dal ’68 in poi, ha pervaso e condizionato la società italiana, scardinando i principi di trasmissione del sapere. Oggi la scuola, per comodità di docenti in larga parte demotivati e troppo spesso svogliati, si è trasformato da "luogo dell’apprendimento" in "luogo della socializzazione", con evidenti ricadute sulla qualità della formazione.
E’ il risultato dell’errata applicazione del principio dell’eguaglianza, che è stato applicato al risultato finale, il cosiddetto "diritto al successo formativo", pretesto utile per i giovani meno impegnati, invece che alle condizioni iniziali, finanziando con borse di studio gli allievi meritevoli ma di famiglia indigente.
Ora, le proposte di ampliamento dell’orario scolastico, non accompagnate da serie indicazioni di miglioramento della didattica, appaiono solo come una soluzione al problema dei genitori, alla ricerca di un luogo dove "parcheggiare" i figli mentre loro sono impegnati al lavoro. Una richiesta che sminuisce ancora di più il ruolo della scuola.