L’evolversi della crisi di Cipro, pur con tutte le peculiarità della nazione e della sua economia, ha messo in luce ancora una volta le difficoltà in cui si trova l’Europa nell’affrontare le situazioni di crisi e nel comporre una politica economica volta allo sviluppo. Appare assente un approccio sistemico, che consideri la soluzione di una crisi locale nell’ambito di un più ampio progetto globale, che veda il benessere dei cittadini europei come obiettivo principale. Invece prevale ancora una logica campanilistica in cui gli Stati ricchi (in primis la Germania) impongono misure di austerity che travolgono le economie in crisi, nel nome di un processo di risanamento che non potrà mai avvenire in una economia in recessione.
Quanto è avvenuto in Grecia dovrebbe fare riflettere. Un Paese in crisi, che tuttavia è stato per anni un ottimo mercato di sbocco per le industrie di partner europei quali la Germania e la Francia, è stato costretto ad una politica di austerity che ha distrutto la domanda interna e impoverito i cittadini. Contrazione del Pil, fuga delle multinazionali, riduzione drastica del settore pubblico in aree chiave quali la sanità e l’istruzione, emigrazione dei giovani. Come potrà ripartire l’economia greca? Esiste, in qualche istituzione Europea un progetto di aiuti per le imprese locali? No, si è pensato solo a risanare i contri per salvare gli investimenti delle banche delle nazioni ricche.
Cipro basa la sua economia su un sistema bancario assai discutibile: ma le critiche ad esso andavano esposte quando si è deciso di accettare il Paese nella moneta unica: ora, far fuggire i depositi dalle banche, senza proporre un alternativo modello di sviluppo, significa solo condannare la nazione a decenni di povertà.
La Germania, nazione guida della politica economica europea, ha considerato i PIIGS, di cui ben conosceva la debolezza finanziaria, solo come mercati di sbocco per le sue aziende, e imponendo misure così penalizzanti rischia di distruggere il futuro dell’Europa intera.