Dopo venti mesi consecutivi di contrazione del Pil, stupisce, ma soprattutto preoccupa, l’orientamento del Governo in merito all’aumento dell’Iva, misura ipotizzata per incrementare le entrate fiscali. Giustamente, dal mondo della produzione e del commercio, oltre che dai sindacati e dalle associazioni dei consumatori, si levano voci di dissenso.
Aumentare la tassazione dal 21 al 22% significa una ulteriore contrazione dei consumi interni, letale per le industrie e l’occupazione, anche se la misura dell’aumento è di un solo punto percentuale.
Servono due miliardi di euro: è possibile che non si possano reperire con una razionale spending review su un bilancio pubblico che assorbe oltre 800 miliardi di euro l’anno? Ad oggi ogni manovra economica ha solo causato una lievitazione delle entrate fiscali, con risultati aberranti: Confartigianato, non smentita, ha denunciato una pressione fiscale sugli utili del 68% per i suoi associati. Valori che rendono appetibile l’evasione fiscale, generando una spirale di aumento delle tasse / aumento dell’evasione in cui è l’intero Paese a perdere risorse, occupazione, credibilità.
Nel contempo, solo il 12 giugno, dopo 162 giorni dall’inizio dell’anno, il contribuente medio inizia a produrre per se stesso: finora ha lavorato solo per creare risorse che lo Stato assorbe sotto innumerevoli forme.
Tuttavia, non vi è intenzione alcuna di porre un freno alla spesa improduttiva dello Stato: i tentativi di eliminare almeno le province sono caduti nel nulla, così come il taglio ai privilegi dei politici, o la riduzione della burocrazia. Una situazione che spiega il crollo dei votanti alle ultime consultazioni: il cittadino si sente abbandonato e inizia a percepire lo Stato come antitetico a sé.