La dematerializzazione degli atti

La dematerializzazione nella sua accezione più comune viene identificata come la conversione di un qualunque documento su supporto cartaceo in un formato digitale, fruibile solo con mezzi informatici, così finalizzata alla eliminazione della carta, quale strumento ordinario di veicolazione delle informazioni o di manifestazione di volontà, da sempre utilizzato nei rapporti interpersonali fra privati e nei rapporti con i pubblici poteri.

Ma quando si scende più nel particolare ci si accorge che si tratta di un fenomeno “sistemico” alquanto complesso, destinato a modificare non solo i comportamenti umani uti singuli, ma la stessa interazione reciproca nei rapporti sociali. Sarebbe più corretto parlare del fenomeno in questione in termini di digitalizzazione, di cui la dematerializzazione degli atti costituisce una parte.

Con la dematerializzazione il documento pubblico o privato, che normalmente ha una sua materialità fisica, si trasforma in una “grandezza fisica digitale, la quale per essere prodotta, riconosciuta e interpretata come documento necessita di strumenti elaborativi atti ad interfacciare i sensi umani e garantire il rispetto dei requisiti idonei alla sua legittimazione, come richiesti di volta in volta dai casi d’uso”. Nella sostanza si tratta di un processo di trasformazione del documento, che adotta le tecnologie della informazione della comunicazione e le regole tecniche pro-tempore accettate nella società presso la quale i documenti assumono valore.

Senza scendere nell’analisi dei singoli processi di dematerializzazione o digitalizzazione già iniziati sin dagli anni ’90 nei rapporti fra privati (ad es. nell’area delle attività finanziarie), si evidenzia invece che la storia più recente è stata caratterizzata dal massiccio intervento normativo volto a favorire il processo di dematerializzazione/digitalizzazione degli atti della P.A.

Il C.A.D. (D. Lgs. n. 82 del 7 marzo 2005 e ss. mm. ii.) definisce all’art. 42 il processo di dematerializzazione dei documenti delle P.A. come il “recupero su supporto informatico dei documenti e degli atti cartacei dei quali sia obbligatoria od opportuna la conservazione e provvedono alla predisposizione dei conseguenti piani di sostituzione degli archivi cartacei con archivi informatici” nel rispetto delle regole tecniche indicate dallo stesso C.A.D., sul presupposto di un effettivo vantaggio in termini di rapporto costi – benefici.

Ciò significa che qualunque atto detenuto, formato o ricevuto dalla P.A. e per il quale è previsto l’obbligo di conservazione può essere trasformato in formato digitale, in modo da rendere meno onerose le spese di manutenzione dell’archivio e di prevenire il rischio di deperimento dovuto alla naturale deperibilità della carta. Anche se vi è da dire che qualunque tipo di supporto magnetico può essere soggetto anch’esso al rischio di perdita dei dati.

Ma la trasformazione degli atti e dell’attività della P.A. da analogica a digitale richiede un percorso assai più lungo rispetto a quello della mera dematerializzazione degli atti e passa da diverse fasi che si possono così sintetizzare:

· informatizzazione dei registri con introduzione degli strumenti informatici, dalla PDL. stand-alone alla rete locale L.A.N. con server proprietario, sino alla connessione via web per accessi a banche dati condivise;

· dematerializzazione degli atti cartacei pregressi e conservati negli archivi, cioè per la trasformazione in files del materiale documentale formatosi prima della introduzione di registri informatici e della attivazione delle banche dati condivise, o comunque al di fuori del circuito digitale:

· digitalizzazione completa dell’attività documentale/provvedimentale della P.A. che non passa più attraverso il filtro di un formato word o excel (o altro formato editabile di videoscrittura), ma nasce direttamente come documento firmato digitalmente ed accessibile soltanto mediante applicazione informatica (soltanto eventualmente stampabile, da un formato P.D.F che ne riproduce il contenuto).

Come si è comportata la Pubblica Amministrazione sino ad ora in tale contesto?

Sicuramente non bene. Non solo perché l’Amministrazione, intesa come burocrazia, è un insieme di apparati fisiologicamente assai complessi e difficili da governare, che, almeno prima della Legge n. 241/90, mai comunicavano tra loro o, se lo facevano, utilizzavano canali di comunicazione formalisti e ridondanti. Ma anche perché quando nei primi anni ‘90 iniziò timidamente a farsi largo l’informatizzazione nell’ambito dei servizi pubblici e delle pubbliche istituzioni, ciascuna amministrazione (Ministero o ente locale) iniziò per sé e con sé, in virtù della propria autonomia organizzativa, creando banche dati parallele ed applicazioni proprietarie.

L’esempio più emblematico, anche se non è l’unico, è forse costituito dal sistema di “Protocollo Informatico”, fatto oggetto di una prima sua regolamentazione a decorrere dal D.P.R. n. 445/2000, ma la cui concreta attuazione è intervenuta soltanto parecchi anni più tardi, con l’attivazione di un sistema interoperabile dedicato, che pure ha stentato parecchio ad attecchire.

Lo stesso C.A.D. ridefinisce il sistema di Protocollo informatico (artt. 1 e 40-bis), come “l’insieme delle attività finalizzate alla registrazione e segnatura di protocollo, nonché alla classificazione, organizzazione, assegnazione, reperimento e conservazione dei documenti amministrativi formati o acquisiti dalle amministrazioni, nell’ambito del sistema di classificazione d’archivio adottato, effettuate mediante sistemi informatici”; lo configura quindi come un passo ulteriore rispetto alla dematerializzazione pura e semplice.

Infatti il sistema di protocollo dovrebbe costituire nelle intenzioni una banca dati dei documenti pubblici, a cui tutte le P.A. devono poter accedere utilizzando i sistemi di comunicazione telematici interoperabili, viaggiando nella direzione della formazione del fascicolo informatico (art. 41 C.A.D.) che raccoglie in un unico contenitore digitale gli atti, i documenti ed i dati del procedimento amministrativo da chiunque formati, purchè aventi un codice identificativo atto ad identificarne il contenuto e la sua fruibilità/accessibilità da parte di chi è autorizzato all’accesso e relativo trattamento dei dati.

Ma se ne segnala la pericolosità, sotto il profilo della tutela dei dati personali e riservati, infatti Il Garante della Privacy, con provvedimento del 11-10-2012, ha sanzionato l’utilizzo fatto dall’Amministrazione del sistema di Protocollo Informatico, mettendone in luce la mancata osservanza delle misure minime di sicurezza per la tutela dei dati personali dei lavoratori; infatti il sistema di per sé, in mancanza di una corretta profilazione dei livelli di accesso degli utenti, consentirebbe la possibilità di accesso ai dati personali da parte di tuti i lavoratori dell’ente o U.O., senza che vi siano vincoli precostituiti, che consentano di limitare la visibilità dei dati solo ai dipendenti abilitati a trattarli.

* *

*Altra tematica degna di attenzione è quella che fa riferimento alla introduzione del sistema giudiziario delle tecnologie della informazione e comunicazione secondo le linee guida definite dal d.l. 29.12.2009 n. 193 conv. in Legge n. 24 del 22.02. 2010 e ss.mm.ii., la cui attuazione concreta è intervenuta a seguito della approvazione del D.M. 21 febbraio 2011 n. 44 e di successivi atti che l’Amministrazione Giudiziaria ha posto in essere per incentivare, favorire e sviluppare il processo di E-justice, allo scopo non solo di abbattere i costi di produzione e circolazione dei documenti, ma soprattutto allo scopo di velocizzare i tempi della giustizia, nonché allo scopo di rendere maggiormente fruibili ed accessibili i servizi giudiziari nei rapporti con l’utenza e nei rapporti fra le stesse istituzioni che operano all’interno del circuito giudiziario.

Dopo il lungo percorso che ha segnato l’introduzione del Processo Civile Telematico in ambito giudiziario civilistico, a partire dalla entrata in vigore dei diversi Decreti Ministeriali che hanno approvato i modelli dei registri informatizzati (anno 2000 e successivi), ciononostante ancora oggi il progetto non è completamente attuato (Nota 1). Ciò per vari ordini di motivi che non sono collegati semplicemente alla mancanza di risorse finanziarie.

E dopo il tortuoso percorso che ha portato parallelamente, seppur sviluppandosi in fasi differenti, dalla informatizzazione dei registri e dei servizi giudiziari in ambito penale (L. n. 336/1991 e ss.) sino alla realizzazione del primo progetto di processo penale telematico (in fase di studio dal 2005 – 2006), altrimenti denominato sistema di cognizione penale, su piattaforma web comune, attualmente in fase di diffusione fra tutti gli uffici giudiziari, seppur con molta fatica.

Si è arrivati oggi a definire in maniera onnicomprensiva e soprattutto a realizzare completamente il significato e gli obiettivi del processo di digitalizzazione della Giustizia? Forse.

Non da ultimo, tuttavia, è da segnalare un recente protocollo d’intesa (24 gennaio 2014) che il Ministero della Giustizia ha stipulato con il Ministero dell’Economia, il Giudice Amministrativo e Contabile e l’Avvocatura dello Stato per concordare una “agenda comune” per lo sviluppo delle tecnologie informatiche e dei sistemi infornativi, nel circuito dell’E-justice, secondo il programma di collaborazione sottoscritto dagli stati membri della U.E., per lo sviluppo di progetti e iniziative comuni in ambito di giustizia telematica.

Ciò che è interessante in tale Protocollo d’intesa, a parte i contenuti che riguardano le metodologie, i processi di lavoro, la definizione degli ambiti di intervento, le regole tecniche per il funzionamento dei sistemi telematici in condizioni di sicurezza e quant’altro, è il fatto che si ponga l’accento sulla necessità di condividere le iniziative per il reperimento delle risorse finanziarie, ciascuno nell’ambito delle rispettive dotazioni di bilancio, per il finanziamento degli interventi condivisi o condivisibili nel circuito dell’E-justice.

Il che sta a significare, auspicabilmente, che forse per la prima volta si avverte la necessità, da parte dei soggetti firmatari, di condividere quanto più possibile per evitare inutili duplicazioni di progetti e quindi di finanziamenti che procedono in parallelo ed altrettanto auspicabilmente anche per evitare sprechi di danaro pubblico.

Nota 1

V. da ultimo le disposizioni contenute nel D.L. “Crescita 2.0” conv. In L. 17.12.2012 n. 221 (art. 16 e 16 bis) che hanno reso obbligatorio nel processo civile l’uso degli strumenti telematici, per il deposito degli atti giudiziari e per l’inoltro delle comunicazioni e notificazioni di cancelleria, tramite P.E.C

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