A.I. e curiosità artificiale

Osservando un neonato o un bambino nella prima fase di vita ci si può chiedere come si sviluppino alcune abilità cognitive che caratterizzano l’essere umano, come la capacità di linguaggio.

Ogni individuo, o quasi, costruisce gradualmente queste capacità partendo da una condizione semplice grazie ad un processo di apprendimento cognitivo.

Le scienze cognitive e computazionali si incontrano sempre più spesso evolvendosi attraverso una reciproca influenza. Algoritmi computazionali, testati e implementati tramite tecnologie innovative, possono aiutare a decifrare e interpretare, insieme ai concetti, agli schemi e all’esperienza degli ambiti di psicologia e neuroscienze, processi cognitivi complessi, che a loro volta stimolano e arricchiscono i modelli.

La ricerca per realizzazione di robots che implementino modelli di intelligenza artificiale e machine learning è molto attiva e qui si descrive l’esempio di un gruppo di ricerca dell’istituto francese INRIA, artefice degli ERGO-robots. Si tratta di un caso significativo come risorsa per l’esplorazione dei processi cognitivi, in particolare la formazione di abilità senso-motorie, di linguaggio e di interazione, e per l’efficacia della divulgazione sperimentale del progetto all’esterno degli ambienti di ricerca.

I piccoli robots in questione possono percepire l’ambiente che li circonda, incluse le persone e i robots stessi, emettere segnali e effettuare alcuni movimenti, e soprattutto implementano l’apprendimento tramite tre modelli: imitazione, invenzione spontanea di nuovo linguaggio e curiosity-driven learning. Per avere un’idea di come si possa implementare un apprendimento motivato dalla curiosità, si può immaginare che queste piccole intelligenze artificiali imparano dalla propria esperienza, ovvero possono correlare statisticamente le azioni e gli effetti delle loro azioni individuando pattern di regolarità e sviluppando abilità di predizione. La curiosità artificiale consiste allora nell’impostare l’attività del robot verso la scelta di situazioni che comportino errori di predizione, verso situazioni che gli esseri umani vivono come effetto sorpresa. La ricerca ha permesso inoltre di osservare il processo di formazione di un nuovo linguaggio condiviso in un gruppo, basato sulla capacità dei robots di relazionarsi tra loro e di percepire l’emissione di segnali sonori associati a un oggetto. Le prime parole condivise nascono con l’aggiornamento del proprio vocabolario da parte dei robots che osservano uno di loro puntare un oggetto ed emettere un proprio segnale sonoro associato. La distribuzione di questo tipo di interazione nel gruppo genera un linguaggio condiviso. L’installazione di un gruppo di robots in un contesto pubblico di arte contemporanea (alcuni anni fa presso la Fondation Cartier) ha consentito di sperimentare su lungo periodo le capacità adattive dei modelli e le possibilità relazionali dei robots con l’essere umano, fonte di stimoli da imitare e di reazioni, come suoni e gesti, provocate da sollecitazioni dei robots stessi. In questo modo è stato possibile osservare le possibilità di autoorganizzazione spontanea del sistema interagente uomo-robot. E’ interessante osservare come da uno stesso punto di partenza l’evoluzione di questo sistema sociale presenti alcune strutture ricorrenti, ma condizioni finali di volta in volta diverse.

Efficace come attrattore di curiosità, infine, la scelta comunicativa di far ideare il volto dei piccoli robots al regista David Lynch, esploratore della mente durante tutto il suo percorso artistico e personale.

 

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