La comunicazione pubblica non ci aiuta a comprendere la situazione dell’occupazione nel nostro paese. I dati che emergono sono fortemente contrastanti, da una parte aumenta la produzione, sembra che l’esportazione sia in crescita, dall’altra arriva la doccia fredda da parte degli istituti preposti, che ci comunicano che abbiamo una disoccupazione dei giovani oltre il 40%. Cosa c’è che non va?
Si parla di nuove professioni e in molti parlano del settore digitale, di internet of things (una delle più grandi innovazioni che rivoluziona i paradigmi della rete, in grande espansione nel mondo), di smart working, ma il problema è alla base: all’inserimento. Gli atenei faticano non avendo una programmazione allineata, non per colpa loro, ma solo per un mancato dialogo fra governo, imprese e università. Si rincorre sempre l’ultima opportunità che diventa di attualità e, magari per comodo, anche innovativa, ma con quali prospettive? Tutto è da verificare sul campo e dalle conclusioni si è pronti a dire: “non era la direzione giusta, ma non si sa per colpa di chi”. Se fortunatamente va bene si fanno avanti 20 organismi, tra ricerca ed imprese, per dire che avevano fatto delle eccellenti previsioni.
Proviamo a vedere, ad esempio, ipotesi di lavoro che possano interessare i giovani mettendo al centro gli organismi regionali, affinché possano dare un contributo ai giovani disoccupati, dotati di titoli anche il più delle volte adeguati, con dei contributi mensili che certamente costano molto meno della disoccuppazione o di altri istituti similari.
Per fare questo la burocrazia si dovrebbe fare da parte, cercando di ragionare, come si suol dire in diritto, secondo il comportamento del “buon padre di famiglia”. Ciò non vuol dire di essere liberi di fare quel che si vuole, è sufficiente un format predisposto dalla PA che vede l’interessato e l’azienda sottoscrivere una patto sul piano del comportamento e della finalità di un esperienza in azienda, tanto formativa quanto professionalizzante, per un periodo di almeno sei mesi.
Apparentemente molte cose che sopra sono state descritte, teoricamente si fanno. Da quanto risulta, però, tutto ciò avviene veramente “molto molto” teoricamente. Cerchiamo di far dialogare i giovani, le università e le PMI che comunque potrebbero prendere un giovane a prescindere dalla forza lavoro dell’impresa affinchè si possa fare un piano di inserimento e di esperienza a costi ridotti rispetto ad altri istituti che provvedono solo a dare un contributo di assistenza e certamente non di crescita al giovane.