Quello del lavoro è sempre un tema scottante, viene subito in mente: la fabbrica, il posto di lavoro, le ore di lavoro, il salario; ma anche in una visione più legata ai tempi recenti, le produzioni di precisione, l’impiego di tecnologie innovative, l’avvento dei robot, da cui sussegue un vasto dibattito sul timore della disoccupazione, e molto altro ancora.
Il tema non è così semplice. Sarebbe bene una regolamentazione agile per il lavoro che cambia e c’è da dire che tra la ricerca di una identità, il jobs act e il ruolo delle imprese, ai tempi dell’industria 4.0 la trasformazione del lavoro passa anche per un nuovo sistema scolastico. Dell’uomo fordista tra economia e società non rimane che il ricordo. Ma tutto questo è un progresso? La digitalizzazione, le nuove tecnologie, lo smart working, la sharing economy, la formazione, le competenze, la ricerca, un nuovo paradigma, il ruolo delle relazioni industriali, la nuova comunicazione del lavoro… Dovremmo pensare, più che mai oggi, che le persone acquistano un’importanza strategica, dovrebbero considerarlo al governo e si dovrebbe considerare ciò nell’implementazione dei processi di produzione che invece hanno durate sempre più brevi così come i rapporti con le risorse umane che sono sempre più liquidi. Pare evidente che ogni singolo componente nell’impresa ha necessità di un continuo adattamento e aggiornamento professionale, relazionale e culturale, ma in tutto questo va comunque e soprattutto tutelato. La SI-IES, ha sempre sostenuto il ruolo importante dell’organizzazione delle imprese e della formazione – vedi la piattaforma di e-learning www.apprendimentocollaborativo.it.
Quanto descritto si può riassumere in una categoria: il post-fordismo. Vi sono sfide, storie ed anche limiti. Tra i limiti, uno di questi è quello di non trovare una adeguata rappresentazione nella legislazione vigente. La revisione dello statuto dei lavoratori (1970).
Il cambiamento del lavoro: Sentieri Digitali in parte lo ha già rappresentato, trattando, per l’appunto, i temi dello smart working, della fabbrica digitale, poi robotica, intelligenza artificiale e big data. In questa trasformazione si legano biotecnologia, nanotecnologia e genetica, tutto questa sta portando anche il nostro Paese nella quarta rivoluzione industriale 4.0 che inevitabilmente trasformerà anche il lavoro.
Il prezzo che potremmo pagare, in assenza di una precisa strategia, potrebbe essere molto caro: disoccupazione, tecnologia di massa, obsolescenza di professionalità e competenze, aggravamento del mercato, disallineamento tra domanda e offerta del lavoro con una definitiva marginalizzazione dell’Italia nello scenario economico globale. Ancora i fattori demografici, invecchiamento e malattie croniche, più i bassi livelli di occupazione e gli alti tassi di inattività, il lavoro nero; tutto ciò unito ad insufficienze strutturali e di sistema che colpiscono tanto il sistema creditizio, quanto il welfare, la scuola, l’innovazione e la ricerca rendono il nostro Paese in posizione di particolare debolezza all’interno di uno scenario che invece richiede marcato dinamismo e agilità.
Secondo SI-IES, è stato ribadito più volte, servono nuovi modelli di produzione e impresa. Cara è “la grande trasformazione”? Karl Polanyi dava a questa suggestiva quanto fortunata locuzione una natura più profonda di quella meramente descrittiva del mutamento degli scenari economici. La trasformazione è di natura antropologica, in quanto si riferisce al mutamento concettuale che, con la nascita dell’economia di mercato, è stato apportato all’idea di lavoro come anche all’idea di terra e di moneta. Facendo tesoro di ciò, il legislatore deve chiedere supporto agli esperti per evitare conflitti e tenere ben presente un altro monito proverbiale, questa volta del giurista Piero Calamandrei: “quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra”.