La rivoluzione della biorobotica e l’innovazione (tutta italiana e donna) dei robot plantoidi

Anche in Italia l’invenzione è donna, una dimostrazione la abbiamo nella ricercatrice toscana Barbara Mazzolai, considerata una delle più brillanti menti della ricerca made in Italy, coordinatrice del Centro di Micro-Biorobotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), ha guidato il progetto europeo che ha portato alla realizzazione dei plantoidi, ovvero dei robot che riproducono il sistema di propagazione delle radici vegetali per studiare il sottosuolo.

Il suo impegno è quello di fare ricerca per migliorare la qualità della vita di tutti noi. Il suo mondo è quello della robotica bioispirata, ovvero quel comparto della robotica che esula dalle macchine industriali ma si focalizza sulle applicazioni dedicate al mondo esterno, legato alla natura, agli esseri viventi e ai fenomani della vita. Al di fuori del contesto industriale dove tutto è all’insegna del controllo, infatti, vi sono dinamiche più imprevedibili dove umanoidi, animaloidi e plantoidi possono adattarsi in modo dinamico: proprio capacità di adattamento e versatilità sono gli elementi cardine di questi robot.

La biorobotica è un modello, dunque, dove è la natura che ispira la robotica, dove si deve trovare ispirazione tecnica dalla natura. In Italia grazie anche ai progetti finanziati dalla Commissione Europea troviamo ottime realtà nella ricerca applicata alla robotica, non abbiamo molto da invidiare ai leader di settore come Stati Uniti, Svizzera, Cina e Giappone.

Ma come funziona il robot plantoide? È una sorta di pianta hi-tech, ha un tronco che viene realizzato per mezzo di una stampante 3D e che cosituisce e contiene la parte elettronica della macchina, oltre a un rocchetto di Pla (materiale termoplastico che normalmente viene impiegato nei processi di stampa 3D in ambito industriale). Il plantoide è dotato di foglie che si aprono e si chiudono a seconda dell’umidità dell’aria e delle radici, ciascuna di queste foglie è dotata di sensori, nell’ordine: di gravità, che indicano al robot come spostarsi; di umidità, per identificare la presenza di acqua; tattili, che gli permettono di evitare gli ostacoli; chimici, per rilevare i nutrienti nel terreno; e dulcis in fundo, di temperatura.

Le applicazioni possono essere le più svariate. Il robot plantoide è stato concepito per il monitoraggio del suolo, per conoscerne le qualità e per la ricerca di acqua, ma anche per segnalare la presenza di azoto, fosforo e di altri agenti inquinanti. Altri ambiti di applicazione, oltre all’agricoltura e all’ambiente, possono essere quelli dell’utilizzo nel caso di catastrofi, nell’insorgere di terremoti e, ad esempio, è stato utilizzato nel disastro nucleare di Fukushima dove i robot scandagliavano il territorio alla ricerca di sostanze nocive.

Le braccia del plantoide sono in grado di allungarsi in relazione agli stimoli esterni, questo elemento risulta importante proprio perchè consente alla punta, come fanno le radici vere, di spingersi nel suolo riducendo le pressioni,  attriti ed evitando gli ostacoli.

Fra i campi di applicazione più interessanti per il futuro troviamo l’ambito medico, per le capacità di allungamento e flessibilità sono stati richiesti infatti dei moderni endoscopi in grado di diminuire l’attrito e la pressione incontrata nel corpo umano. Così potremmo avere esami meno invasivi e dolorosi limitando al minimo il pericolo di danneggiare i tessuti.

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