Negli anni ’50 molti giovani erano costretti a lasciare il proprio paese di origine cercando fortuna altrove e poi se possibile ritornare alla propria terra. Tranne casi eccezionali tutti rispettano il proprio territorio con ammirazione, dolcezza ed anche nostalgia. Con questi presupposti siamo cresciuti e abbiamo incominciato a pensare al paese Italia. Non a caso con molta fierezza si sentiva dire: “io sono italiano”.
L’italiano ha trovato e trova difficoltà nel proprio Paese, nel trovare una giusta collocazione. Si sposta in Europa, lavora in Europa, si costituisce una famiglia in Europa, e anche lui ritorna al Paese di origine e dice “sono un cittadino europeo”.
Cresciuti per anni con questi sentimenti, sentire oggi molti politici, molti industriali e molte persone che nell’affrontare l’argomento Europa sembran citare “una disgrazia” fa male. Non è meglio cercare di trovare un modello adeguato per poter dire “questa è la mia Europa”.
Nel frattempo cosa è successo? La comunicazione, nel bene e nel male, ha modificato il mondo, il nostro comportamento, il nostro modo di vivere, annullando anche le distanze. Cosa fare? Se parliamo di innovazione, di trasformazione digitale, abbiamo la sensazione che siano termini che si adoperano più perchè fa moda e non per contenuti, questo è molto grave. Abbiamo bisogno di formare i docenti, qualificarli e poi successivamente dialogare con i discenti, con metodi e proposte innovative, facendo capire al giovane che parliamo lo stesso linguaggio e quindi la comunicazione diventa multimediale. Non è possibile che il mondo politico sia in crisi, il Paese in crisi. Domanda: perchè? Uno dei motivi potrebbe essere che non v’è dubbio che stiamo vivendo un momento di elevata crisi in generale. Manca un leader, una persona di riferimento, una persona che sia esemplare e che possa essere sentita, percepita da tutti.
Fino a qualche tempo fa, il mondo della chiesa cattolica aveva avuto un ruolo importantissimo, a partire dalle parrocchie, dai boyscout, dai giovani lupetti, quale luogo e momento di aggregazione, pur non parlando con frequenza di “religione”. Anche la chiesa passa, non a seguito di Concilio Vaticano II, ma con dovuta carenza di preti all’altezza della situazione e, quindi, anche li di una sorgente eccezionale che durante il percorso e nel tempo si è dispersa. Non a caso notiamo giovani preti che cercano di comportarsi come qualsiasi giovane laico con la speranza e con l’illusione di parlare lo stesso linguaggio. Questa è la via? Assolutamente no. Il prete se vuole avere successo e seguire la missione per cui ha scelto la strada del sacerdozio deve fare il prete, non deve fare il politico o il sindacalista. È solo demagogia ed anche una chiara espressione che non ha capito qual’è la sua vera missione. In una classe scolastica, se i ragazzi non rispondono secondo l’istruzione emanata dal proprio insegnante, quest’ultimo dovrà fare dei tentativi diversi affinché la maggioranza della classe possa apprendere, capire ed apprezzare, e non prendere la scorciatoia del fare niente e di andare “sotto braccio” con gli studenti. Involontariamente questi giovani per quanto si possa parlare di innovazione e globalizzazione saranno i dirigenti di domani, a dir poco con una cultura scadente, poco sfidante e quindi non vincente.
Le conclusioni sono: torniamo a fare, ognuno di noi, il proprio ruolo con semplicità, senza rumore e senza arroccarsi a scandali che più o meno possono riempire le pagine dei giornali, come la violenza alle scuole superiori tra un giovane maschio e una giovane femmina che non si capisce perché ha visto denuncia solo dopo circa trent’anni. Che senso ha? Anche questo è il comportamento dei tempi.