DEFICIT SI’, DEFICIT NO

Il deficit è quasi sempre una patologia, un disavanzo di qualcosa. In questo caso ne parliamo come una perdita di alfabetismo cd. “digitale” anche se è trasportabile sul piano economico, essendo questo deficit il risultato della scarsa volontà di investire nelle imprese.
 
Che la società sia assediata dalla tecnologia è un dato di fatto, ormai da diverso tempo. Intelligenza Artificiale, robotica, domotica, realtà aumentata, Big Data, 5G, Smart Cities in cui ospedali, ambulanze, servizi energetici, servizi municipali, traffico urbano e nettezza urbana verranno gestite tramite apparecchi tecnologici connessi tra loro. Tutto all’insegna della tecnologia e in un’atmosfera di innovazione e cambiamento. Ci fa sentire- a tratti- padroni della società e in grado quasi di gestirla, se solo ne fossimo capaci.
 
Purtroppo, di fronte a questa evoluzione il nostro Paese presenta un ritardo dai tratti piuttosto drammatici. Secondo l’indice internazionale che misura il livello di competenze digitali, nel 2018 l’Italia si è trovata quartultima fra i Paesi dell’UE, seguita soltanto da Bulgaria, Grecia e Romania. Non è difficile dire quale sia la prima causa, che come sempre ha radici nel sistema scolastico. Secondo uno studio del PIAAC- Programme for the International Assessment of Adult Competencies- l’arretratezza che presentiamo a livello formativo di base non riguarda “solo il 3,3% degli adulti italiani”. Loro sono in grado di raggiungere alti livelli di competenza linguistica contro l’11,8% della media dei 24 paesi partecipanti, e il 22,6% del Giappone che è il Paese in testa alla classifica. Dall’indice di queste competenze, risulta che solo il 26,4% ha un buon livello. Dunque, il 70%n ha livelli di competenza in lettura e scrittura inferiori. Solo il 4,5 ha competenze matematiche di alto livello. Ciò ha non poco peso sulla nostra salute mentale e sulla capacità di partecipazione attiva in contesti associativi/politici/culturali. Per non parlare del lento allontanamento verso il prossimo, non essendo in grado di collaborarci, e della conseguente perdita di fiducia.
 
Ma le tragicità non finiscono qui. Parliamo del mondo digitale. Altra causa di questo deficit alfabetico riguarda proprio l’accesso a internet. In Italia la percentuale di utenti che navigano in rete regolarmente resta bassa (69%). Un ritardo che influisce anche sulle vendite online, sull’internet banking, la partecipazione ai tanto acclamati social, la lettura di quotidiani online. Neanche più quelli. E sui servizi di e-government, soltanto il 13% ha usufruito di moduli digitali da inviare alla PA.
 
Parliamo delle imprese? La percentuale di PMI che vendono online è dell’8% (dopo di noi soltanto la Bulgaria). Un dato che spiega i nostri problemi di competitività a livello micro. Fortunatamente la nota positiva la si tocca dando uno sguardo alle imprese con più di 250 addetti che hanno sposato il concetto di “industria 4.0”, sviluppando un potenziale di risorse.
 
Sulla base di questi indicatori sarebbe bene iniziare ad uscire da questa zona di arretratezza che davvero non può più appartenerci e proporre linee di intervento per la digitalizzazione di scuole e insegnanti; per l’attuazione di sgravi fiscali per le aziende che fanno formazione; per i disoccupati e i pensionati creando un fondo nazionale per l’alfabetizzazione digitale gestito dai comuni per non restare in una “emarginazione digitale”.
 
Possiamo sempre fare le nostre fughe alla chetichella dalla frenesia della città e distaccandoci dai social- e gran parte del mondo- ma è preferibile che non diventi una consuetudine questa sordità da parte della popolazione affinché tali squilibri di competenze non indeboliscano il sistema sociale. È bene che nessuno resti indietro sicché tutti possano incentivare e concorrere al progresso.
 
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