Orizzonte 2020: la sfida dell’UE al cambiamento climatico

Il clima terrestre sta cambiando: come illustrato dal Quinto rapporto di valutazione dell’IPCC (Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici), il riscaldamento globale verificatosi a partire dalla metà del XX secolo è dovuto principalmente a un aumento delle concentrazioni di gas serra, generato a sua volta dalle attività umane, in special modo dalla combustione dei carburanti fossili e dal mutamento del rapporto dell’uomo con la Terra.

La strategia dell’UE in merito all’energia (Energy 2020, a strategy for competitive, sustainable and secure energy), identifica la sfida energetica come una delle prove più importanti che l’Europa sta affrontando e che dovrà fronteggiare per i prossimi decenni. Su questi temi, il Consiglio Europeo ha adottato nel 2007, in occasione del Trattato di Lisbona, ambiziosi obiettivi da raggiungere nel 2020. Tali obiettivi sono stati assorbiti dalla Strategia Europa 2020 e prevedono una riduzione del 20% dell’emissione dei gas serra, l’aumento del 20% di energia proveniente da fonti rinnovabili e un miglioramento del 20% dell’efficienza energetica.

Il tenore di vita dei cittadini europei si basa su consumi elevati: l’UE consuma un quinto dell’energia prodotta nel mondo, pur possedendo una percentuale molto ridotta di risorse e, nonostante il “portafoglio energetico” sia ben diversificato a livello europeo (basti pensare alle numerose dighe in Austria, alle miniere di carbone in Polonia, alle centrali nucleari in Francia, alle piattaforme petrolifere nel Mare del  Nord e ai giacimenti di gas in Danimarca e nei Paesi Bassi) la dipendenza energetica dell’Europa dai Paesi extra UE incide ancora in maniera massiccia sulla propria economia. E la bolletta non fa che aumentare. Non c’è scelta: i Paesi dell’UE devono essere efficienti, realizzare gli obiettivi prefissati e collaborare, diversificando le loro fonti energetiche e i loro canali di approvvigionamento.

A consolidare queste urgenze, la  XXI Conferenza delle Parti dell’ UNFCCC (Convenzione quadro delle Nazioni sui Cambiamenti Climatici) tenutasi a Parigi, che ha concluso, per la prima volta in oltre venti anni di mediazione da parte delle Nazioni Unite, un accordo vincolante e universale sul clima. Obiettivo dell’ “Accordo di Parigi” è limitare l’incremento del riscaldamento globale a meno di 2 gradi Celsius rispetto ai livelli pre-industriali e raggiungere un’emissione antropica di gas serra pari a zero durante la seconda metà del XXI secolo.

È evidente che tra gli strumenti più efficaci per tener fede agli accordi mondiali e ai propositi  europei si inseriscono le fonti di energia rinnovabile e l’ecologia industriale, che studia i parallelismi trai i sistemi industriali e quelli naturali suggerendo quali processi l’industria potrebbe adottare. In natura, ad esempio, non vi è scarto di materia: qualsiasi cosa si riveli non necessaria in un determinato processo viene riciclata e trasformata per essere utilizzata altrove. I prodotti di scarto divengono quindi le fondamenta di un nuovo processo, all’interno di un sistema più ampio alimentato dall’energia solare. Un’ulteriore interdipendenza, quindi, tra fonti rinnovabili e industria, che coinvolge sempre più il già largamente diffuso strumento del Lifecycle assessment (LCA), un tool che permette di capire, considerando l’uso complessivo di energia e le emissioni nell’aria, acqua e suolo quali indicatori di potenziale danno ambientale, come il riutilizzo e il riciclaggio di energia e materiali possano contribuire alla riduzione delle emissioni.

Gli investimenti in fonti di energia rinnovabile, che sia energia eolica, solare (termica e fotovoltaica), idraulica, geotermica e da biomassa sono sempre più in espansione e hanno permesso di ridurre sensibilmente il costo delle tecnologie rinnovabili: ad esempio il prezzo dei pannelli solari è calato del 70% negli ultimi sette anni. L’energia rinnovabile, che fa parte del settore in crescita delle tecnologie “verdi”, in cui lavorano sempre più persone in Europa (nel 2011 erano 1,2 milioni, entro il 2020 dovrebbero essere più di 4 milioni), è la chiave di volta della strategia energetica a lungo termine dell’Unione perché rafforza la sua leadership tecnologica, crea nuovi lavori “verdi” e favorisce le importazioni a forte valore aggiunto.

Inoltre, contribuisce allo sviluppo delle aree periferiche, che con fatica riescono ad innescare modelli di economia sostenibile. Tra le azioni messe in atto a livello locale, una menzione speciale va alle Marche che, attraverso l’applicazione integrata di fonti di energia rinnovabile e la realizzazione di parchi minieolici, sta segnando il cammino per l’autosufficienza energetica delle utenze comunali in molteplici comuni della regione.

Esperienze incoraggianti, che ci spronano, in qualità di singoli individui, a responsabilizzarci e a fare la nostra parte nella pur difficile missione di salvaguardia del pianeta. 

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