Quanto è attuale, oggi, il concetto di “distruzione creativa” sviluppato nel 1942 da Joseph Schumpeter? L’economista aveva colto gli effetti che l’innovazione, tecnica e gestionale, ha sulle aziende che operano nei settori interessati, imponendo loro una rapida evoluzione. Nelle economie di mercato, il miglioramento delle condizioni di vita per la massa della popolazione avviene per la disponibilità di beni e servizi a costi decrescenti e di migliore qualità.
Ma solo le imprese più efficienti ed innovative attraversano (e gestiscono, o addirittura determinano ) l’innovazione. Ne è esempio la Apple, leader dei sistemi operativi visuali nella seconda metà degli anni Ottanta, che è riuscita a reinventarsi dapprima con l’IPod (sistema per ascoltare musica in formato mp3), che è diventato uno standard mondiale, successivamente con l’IPhone, e che ora sta affrontando una nuova sfida con l’IWatch. Un esempio virtuoso di come il capitalismo stimoli le iniziative e le idee, favorendo il progresso e il benessere in tutti i settori.
E le imprese che non innovano, che non si adeguano ai mutamenti di mercato? La loro tendenza è di chiedere l’intervento dello Stato, in primo luogo come legislatore, chiudendo gli spazi di mercato dei soggetti emergenti, nel tentativo protezionistico di creare piccoli monopoli locali: è la richiesta delle associazioni dei tassisti dei diversi Paesi europei contro Uber, oppure degli albergatori contro Airbnb. In seconda battuta, quando è chiaro che le norme internazionali (oltre che la domanda dei consumatori) non consentono di “chiudere” al progresso, le stesse imprese invocano forme di assistenzialismo di Stato (sussidi, agevolazioni fiscali, salvataggi pubblici) agitando lo spettro di licenziamenti e mandando in piazza i loro stessi dipendenti a manifestare.
A volte, per motivi clientelari ed elettorali, lo Stato – sia esso il Governo o un Ente Locale (Regione, Provincia, Comune) – cede alle pressioni e blocca la concorrenza oppure eroga denaro ed utilità che consentono alle imprese non innovative di restare sul mercato. Gravissimo errore politico, perché i costi di queste scelte ricadono sui cittadini, che pagano più cari beni e servizi, e sulle imprese efficienti, riducendone la competitività. Tutto il sistema-paese ci rimette, e l’economia arretra con conseguenze rilevanti nel medio periodo.
L’attuale Governo, nato da una “rottamazione” sul piano politico, deve considerare che la ripresa economica non può avverarsi se non si offre incentivo (economico, ma soprattutto di semplificazione burocratica e gestionale) alle imprese che innovano, alle startup, ai giovani creativi. In tale direzione vanno indirizzati i Fondi Europei, che ogni anno la UE versa all’Italia e che spesso non sono spesi per carenza di adeguati progetti. Se il progresso distruggerà aziende decotte, non competitive, che non investono in Ricerca & Sviluppo o in formazione continua, non è un danno, perché i loro dipendenti saranno assorbiti dalle nuove imprese in crescita, e il risultato globale sarà un maggiore benessere per tutti.