La classifica mondiale sulla corruzione, che attribuisce all’Italia la 69esima posizione, non ha sollevato particolare clamore, essendo ormai quotidiani gli episodi di cronaca giudiziaria che riguardano politici ed amministratori locali. Le imprese multinazionali, alla luce di questi dati, abbandonano il nostro Paese, o rinunciano ad investire, come è recentemente avvenuto con la francese Decathlon, che ha desistito dal progetto di impiantare nell’hinterland milanese una sua sede, per la quale aveva già stanziato 25 milioni di euro di investimenti e intendeva assumere 250 persone. Ipotesi sfumata per non sottostare ad una burocrazia ottocentesca, costosa e contorta, che lascia ampi spazi a fenomeni di corruzione.
La legislatura che si sta chiudendo non ha operato alcun intervento significativo sui costi della politica, né ha ridotto il peso della burocrazia, né sono state emanate norme per arginare e sanzionare gli episodi di corruzione. Il potere centrale non è stato in grado di intraprendere un vero cambiamento, con nuove regole atte a estirpare ciò che è diventata una vera vergogna per un Paese di antica civiltà che vuole essere annoverato tra le principali economie del mondo occidentale.
L’unica possibilità per l’Italia è ripartire dalle realtà locali, dove il contatto tra gli amministratori e i cittadini è più diretto, costituendo uno stimolo al cambiamento ed un freno morale alla disonestà. Ma ciò è possibile solo mettendo in campo persone nuove, giovani, non legati e condizionati dalle antiche dinamiche di potere dei partiti politici e dalla cultura dei "centri di interesse", delle "correnti".
Solo i giovani, con il loro entusiasmo, la voglia di cambiare, il desiderio di meritocrazia e gli ideali di giustizia, equità e solidarietà, possono rinnovare l’Italia.