La Corte di Cassazione, in una recente sentenza (n. 2737 del 5 febbraio 2013), ha confermato il ruolo di controllo che i componenti di un CdA devono esercitare nei confronti della gestione societaria, anche qualora non siano provvisti di deleghe. Un obbligo che devono assolvere, intervenendo nel caso di operazioni "sospette", senza aspettare di essere informati dall’Amministratore Delegato.
E’ un principio importante, che va a tutelare l’interesse dei soggetti terzi che possono potenzialmente sentirsi rassicurati dalla presenza di nomi illustri in un CdA, e che devono avere la certezza che tali personalità non rappresentano una mera partecipazione "di facciata", finalizzata ad elevare la reputazione aziendale, ma sono direttamente responsabili di quanto avviene all’intero dell’azienda.
Nel caso in esame della Suprema Corte, in base a questo principio è stato rigettato il ricorso – confermando la sanzione amministrativa pecuniaria nei loro confronti – di due componenti del CdA della Banca Popolare Italiana, per fatti avvenuti durante il tentativo di scalata di Banca Antonveneta da parte di Bpi. All’epoca, come rimarcato dalla Corte d’Appello di Roma, essi "non avevano preso iniziative per verificare le operazioni che si stavano compiendo", soprattutto in riferimento a "una serie di finanziamenti che apparivano gravemente sospetti, trattandosi di finanziamenti per importi rilevanti (in media 50 milioni di euro per operazione) richiesti da persone fisiche sulla base di domande assolutamente generiche e deliberati in tempi brevissimi, con istruttorie del tutto sommarie".
La II sezione civile ha ritenuto tale condotta sanzionabile per culpa in vigliando, "essendo compartecipi delle decisioni assunte dall’intero consiglio". Un principio importante, che va nella direzione di migliorare la trasparenza gestionale nelle imprese, a beneficio degli investitori e dell’immagine del sistema Italia nel mondo.