Per la quarta volta in soli 14 anni, Telecom Italia cambia proprietà: prima i "capitani coraggiosi" guidati da Colaninno, che hanno rimpiazzato il "nocciolo duro" (con il 6,62% delle azioni) che aveva come capofila Agnelli; poi nel 2001 Tronchetti Provera e i Benetton rilevarono la società tramite Olimpia, partecipata Pirelli; Telco, in cui si uniscono Mediobanca, Generali, Intesa San Paolo, Sintonia e Telefonica sono i successivi proprietari, che hanno ceduto ora il controllo a Telefonica.
In questi anni, alcuno degli acquirenti dell’ex monopolio delle tlc italiane ha mai presentato un piano industriale degno di tale nome. Dismesse le attività di ricerca e di formazione, ceduto un enorme patrimonio immobiliare, Telecom Italia è oggi un’azienda fortemente indebitata e con un futuro assai incerto.
Telefonica, come è noto, ha soprattutto interesse ad acquisire le attività di Telecom Italia in America Latina, dove è il suo principale concorrente. L’acquisto nasce da una strategia di espansione in Brasile ed Argentina, non dall’intenzione di crescere nel mercato italiano. Pertanto è solo un’illusione l’ipotesi ventilata dal premier Letta, secondo cui "i capitali europei potrebbero aiutare Telecom a essere migliore rispetto a come è stata in questi 15 anni". Con questa ennesima acquisizione di una grande azienda italiana, il Paese sconta l’assenza di una strategia industriale nazionale, fattore comune di tutti i Governi, di qualsiasi colore e natura, che si sono succeduti dall’inizio degli anni ’90 ad oggi.
E oggi il rischio non è solo il "fronte occupazionale" citato dal premier, ma il futuro dei rapporti che Telecom Italia aveva costruito con i centri di ricerca universitari, con le PMI, con le startup dei giovani imprenditori. Un indotto di tecnologia e creatività che ora perde un importante punto di riferimento, poiché TI era diventata uno degli asset strategici dell’economia italiana.