Gli appelli alla formazione di un nuovo governo, lanciati nei giorni scorsi da Confindustria, sottolineano la necessità di un intervento pubblico che possa frenare la recessione in atto. Ma tale intervento non può avere come area di riferimento solo il mondo delle imprese e del lavoro, non può essere costituito solo da finanziamenti alle aziende e alle politiche occupazionali. A parte le difficoltà che misure espansive di tale specie incontrerebbero sui mercati finanziari, stante l’elevato debito pubblico italiano, la crisi economica richiede interventi strutturali di ampia portata.
Infatti il Paese sconta ritardi di decenni in tutti i settori: da un eccesso di burocrazia, che costituisce un costo notevole per le imprese, ai ritardi nei pagamenti; dalla mancanza di vere liberalizzazioni in settori chiave quali l’energia, all’assenza di banda larga per molte aziende; dalla inefficienza della Giustizia alla rigidità del sistema bancario.
Questi elencati sono solo alcuni tra gli aspetti critici che ingessano le iniziative imprenditoriali: un intervento su essi avrebbe tuttavia il vantaggio di migliorare la produttività delle aziende, senza pesare sui conti dello Stato, sul cui equilibrio vigilano le istituzioni europee.
Ma non è facile: dietro ad ognuna delle inefficienze citate si posizionano interessi privati di categorie e lobby, che possono essere messi a tacere solo da un governo forte ed autorevole, – ma la composizione dell’attuale Parlamento non ne rende possibile il varo – oppure da un impegno responsabile e forte di tutti i soggetti politici, finalmente consci della responsabilità nei confronti della nazione.
Invece, il recente dibattito politico finora ha evidenziato solo una contrapposizione di interessi e l’adozione di strategie mirate a migliorare la propria posizione nei confronti dell’elettorato, come se si fosse ancora in campagna elettorale.