Le parole utilizzate dalla showgirl Nina Zilli per descrivere i suoi studi universitari sono sicuramente inusuali e dissacratori. Ma l’indignazione del rettore dell’Università citata (lo Iulm), sfociata in una querela per diffamazione, non è la reazione appropriata. Il mondo accademico, osservando l’alto tasso di disoccupazione giovanile, la bassa produttività e l’ampia diffusione di contratti di lavoro sottopagati per i neolaureati, dovrebbe interrogarsi sulla validità dei programmi di studio e sul reale impegno dei suoi docenti.
Si deve riesaminare la deriva che ha allontanato da decenni l’Università del mondo del lavoro, che non si riconosce nelle materie insegnate, nei contenuti dei programmi, nell’approfondimento richiesto dalla produttività aziendale. Mediamente, i giovani laureati non sono in grado di sostenere l’impegno che le aziende chiedono loro, perché l’università non li ha preparati sugli argomenti che interessano alle imprese.
E’ indispensabile un cambiamento che riporti il contatto tra gli atenei e le imprese, adeguando i programmi accademici alle esigenze del mondo del lavoro, fornendo ai giovani skill professionali immediatamente utili, che innalzino la loro produttività e – di conseguenza – i loro stipendi.
L’ideale sarebbe realizzare uno "scambio" che, nell’ottica della formazione continua, elemento essenziale per il rafforzamento delle competenze aziendali, porti nelle imprese il know-how teorico dei docenti e trasferisca negli atenei le tematiche e le competenze manageriali – sia strategiche che operative – utili per la formazione dei giovani.
Uno scambio che può vedere in prima fila le aziende più innovative, unite alle Università che si propongono ai giovani con programmi innovativi, che recepiscono la nuova frontiera della gestione aziendale: ad esempio, l’energia verde, il cloud computing, il marketing relazionale, ecc.