Professione, professionale, professionalizzante. Un master in Europrogettazione può voler dire tutte e tre queste cose. Ma poi? Se c’è una cosa che ho imparato dalla mia minima esperienza nel campo è che le parole sono belle e tanto e che Europa può voler dire incentivo piuttosto che regola, stimolo piuttosto che impegno. Non sono in molti ad averlo capito. Europa può voler dire rete e solo una rete può accendere le idee e farle girare ad una velocità sorprendente, trasformandole in cose concrete e tangibili nelle nostre vite. Può voler dire dare visibilità a realtà sconosciute e legate da risorse comuni che aspettano soltanto di essere valorizzate. Progettazione europea può voler dire dare voce a chi non ne ha, anche se troppo spesso finisce per darla sempre agli stessi, incastrandosi nel groviglio delle burocrazie e delle regole nostrane. Parlo d’Italia ovviamente, un paese ancora alle prese con una Questione Meridionale irrisolta, i cui giovani sono costretti a partire per trovare risposta alle proprie ambizioni. Un paese in grado di sprecare letteralmente le risorse messe a disposizione dall’Europa (Fesr e Fse), come denunciato più di recente anche dal commissario europeo alle Politiche regionali Corina Cretu (Parlamento Europeo – Maggio 2016). Un paese dove la progettazione europea è considerata più una competenza che una professione, cui destinare risorse già acquisite con un minimo di infarinatura nel campo, piuttosto che giovani competenti. Mentre prendo l’ennesimo treno penso a tutto questo ed allora diventa frustrante immaginare quanto si potrebbe fare partendo dal basso, facendo appello ad un’Europa che riconosce le difficoltà delle nostre regioni e si propone di ascoltare e finanziare le idee innovative. Ma cosa c’è di innovativo in una realtà in cui un ragazzo che vuole progettare per il Sud deve andare al Nord? Tanto più se per seguire la propria vocazione è costretto ad accettare condizioni di lavoro precarie, in cui nel più dei casi la retribuzione è subordinata alla vincita dei bandi cui dovrà lavorare?
Si potrebbero costruire eserciti di giovani promettenti, impiegandoli nel territorio in cui sono nati per mettere direttamente sul campo le proprie energie. La progettazione europea potrebbe diventare la nuova frontiera dello sviluppo del Mezzogiorno e il progettista europeo un mediatore attivo tra ciò che il Sud vuole e ciò che l’Europa chiede in cambio. Certo, perché l’Europa ci chiede di diventare “europei”, di uscire dai luoghi comuni, dai soliti sistemi, di accettare le regole, di rispettare le scadenze, come quelle del 2016 sulla “strategia per una specializzazione intelligente (S3), i piani per i trasporti, i rifiuti e l’acqua”. Ma i mille parametri richiesti per la compilazione di un formulario sembrano evidenziare il divario tra ciò che siamo e ciò che dobbiamo diventare. Al di là delle chiacchiere e dei propositi altisonanti, il giovane progettista europeo dovrebbe imparare a interfacciarsi con realtà istituzionali disparate e distanti, a dialogare con differenti interlocutori, a scontrarsi, se necessario con la ruggine delle procedure locali. Tutto ciò per portare avanti idee innovative, la cui ricaduta concreta nel contesto locale da cui proviene possa fare sentire che l’Europa c’è, funziona e può persino diventare un mestiere.
Le sfide che la realtà odierna ci offre sono molteplici e sempre più complesse. Fare progettazione per il Sud non deve significare tornare “meridionalisti”, ma imparare a guardare a questi territori secondo nuove prospettive: non più solo come gli ultimi nello sviluppo economico, ma come i primi nella corretta accoglienza e integrazione degli immigrati, sempre più strumentale alla prevenzione di fenomeni apparentemente ingestibili come il Terrorismo Islamico; non più come esempio di una cultura legata al clientelismo e alle irregolarità amministrative, ma come protagonisti di un processo di innovazione costante che vada dalle modalità di accesso ai bandi europei, esclusivamente attraverso piattaforme digitali user friendly, all’utilizzo delle molteplici risorse attraverso gli strumenti del project management “in un’ottica di orientamento ai risultati e di monitoraggio costante”.
In tal senso non possiamo che apprezzare gli sforzi che, seppure in forte ritardo, la Regione Calabria ha messo in atto nell’ambito del Por Calabria 2014-2020 attraverso la recente pubblicazione di cinque nuovi bandi per l’innovazione e la competitività delle piccole e medie imprese per un totale di quasi 37 milioni di euro; come anche appare interessante il programma PIN – Pugliesi Innovativi promosso dall’Assessorato alle Politiche Giovanili della Regione Puglia finanziato con i fondi del P.O. Puglia 2014-2020 e del FSC per la sperimentazione di progetti imprenditoriali ad alto potenziale di sviluppo locale nel campo dell’innovazione culturale, tecnologica e sociale. Si tratta solo di alcuni esempi, ma a me bastano per pensare che non è detto che arrivare in ritardo voglia dire non riuscire a tagliare il traguardo.