L’Italia e la crisi delle startup

Le startup in Italia non stanno bene, siamo negli ultimi posti in Europa, il discorso è il solito e riguarda l’incapacità di prevenzione e l’attitudine al ritardo del nostro Paese. Molti stabiliscono una correlazione con il crollo del ceto medio. Dal crack del 2008, il ceto medio non è più sicuro delle proprie prospettive e se è proprio in questa classe sociale che emergevano i maggiori numeri delle startup, è proprio da questa sofferenza che emerge la crisi delle imprese innovative. Ma se in alcuni paesi il rilancio e la ricrescita si è già registrata, nel nostro Paese tale incremento non si registra.

De Rita del Censis afferma che molto risiede nel fatto che i miti dei giovani d’oggi sono cambiati, la fascia d’eta che va dai 15 ai 29 mette in cima alla classifica di importanza i social network, ed in coda le startup digitali, tale componente ha sempre meno risalto nell’immaginario dei ragazzi. Una generazione giovane che già di per sé soffre la disoccupazione non crede già più nelle startup, un dato allarmante.

Se non c’è l’immaginario e una proiezione sul proprio futuro, un luogo dove collocarsi, non c’è neanche l’ascensore sociale, questa è un’altra delle ipotesi. Il lavoro autonomo, la casa, la seconda casa, la libera impresa sono tutti meccanismi di immaginario sociale che i ragazzi di oggi non hanno più e questo fa si che l’ascensore sociale non solo sia fermo ma si stia comprimendo.

Certamente molto è da chiedere alla capacità di prevenire le criticità. In questo probabilmente abbiamo peccato, e molto di questo gap può essere ricucito intervenendo in formazione, con verifiche serrate prima di avviare un progetto, il fatto che 2 su 10 chiudono già dopo 3 anni di esercizio è un dato molto critico.

Sicuramente è necessaria la formazione, che va incrementata e incentivata: il come si apre, si conduce e si avvia una startup non è una “barzelletta”. Serve affiancamento continuo. Importante, inoltre, snellire i limiti giuridici e la burocrazia prima e durante la fase di avviamento. Il Ministro Calenda conscio di questo fallimento, ha esplicitato che una delle politiche meno efficaci del governo  è stata proprio quella che doveva rinvigorire le procedure di venture capital, quei capitali di rischio e investimento legate alle startup. In Italia 250 milioni di investimenti danno l’idea del rapporto per quanto riguarda l’ascensore sociale che rispetto a Francia e Gran Bretagna è 1/10 e rispetto alla Germania 1/20.

Con tali politiche si dovrebbe rinvigorire anche l’educazione e la formazione. Un connubio che deve essere composto di studio/ricerca e gestione, pensiamo anche alle verifiche e ai controlli sulla filiera cose che sono per nulla banali e spesso contagiano le startup fino a condurle alla crisi. Nessuno nasce imparato, ma almeno dovremmo fare tesoro di questa pessima prima esperienza e "rimboccarci le maniche".

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