L’intelligenza artificiale del nostro smartphone potrebbe aiutarci a scoprire se siamo depressi

Il male oscuro del XXI secolo, la depressione che affligge milioni di persone, una malattia troppo spesso trascurata, che spesso non è coadiuvata dal giusto sostegno, è una delle più grandi problematiche del mondo contemporaneo.

Non sempre è facile rilevarla, i disturbi mentali rispetto a quelli fisici sono più difficili da rilevare, spesso irriconoscibili, però una diagnosi precoce sarebbe comunque molto importante. Alcuni algoritmi di apprendimento automatico, gli stessi che consentono ai nostri smartphone di identificare le nostre facce e di rispondere alle nostre voci, potrebbero essere un prezioso strumento per accrescere e riconoscere i segni della depressione, e magari in alcuni casi rilevare le prime avvisaglie e favorirne l’intervento o la cura.

Di mezzo c’è l’intelligenza artificiale: in una ricerca condotto dall’Università di Stanford si è scoperto che questi software alla base dei riconoscimenti dei visi e delle nostre voci permettono di identificare segnali di depressione con ragionevole accuratezza. Il test è avvenuto su una produzione di riprese video su persone depresse e non, che è stato elaborato da uno di questi modelli di apprendimento automatico, programmato per riconoscere una determinata combinazione di segnali, espressioni facciali, tono di voce e altre parole pronunciate. I dati sono stati raccolti da interviste in cui un paziente ha parlato con un avatar controllato da un medico.

Durante i test, è stato in grado di rilevare se qualcuno fosse depresso più dell’80% delle volte. La ricerca è stata condotta da Fei-Fei Li, esperto di intelligenza artificiale tornato di recente a Stanford dopo l’esperienza in Google.

Il progetto è ancora ad uno stadio iniziale, ma secondo i ricercatori potrebbe essere alla base di un nuovo metodo semplice per permettere alle persone di ricevere una corretta diagnosi, magari precoce, ed essere aiutate e curate. I ricercatori in un documento presentato alla conferenza NeurIPS AI di Montreal hanno riportato quanto segue: “il peso della salute mentale si fa sentire per mezzo di ostacoli alla cura come lo stigma sociale, i costi finanziari e la mancanza di opzioni di cura accessibili ai più. Questa tecnologia potrebbe essere ditribuita all’interno dei telefoni cellulari a livello mondiale e facilitare l’accesso universale a basso costo all’assitenza sanitaria”.

Come spesso viene sottolineato soprattutto nel settore health, la tecnologia non può sostituire il medico. Inoltre i ricercatori affermano che, in termini di riservatezza, i dati utilizzati non vanno ad includere informazioni protette e personali, date o luoghi. Ma si andrebbe a far leva su indicatori e parametri extra. Un lavoro ancora lungo merita, invece, la componente che distingue particolari di razze o genere che possono deviare l’elaborazione, i rilevatori non sono ancora così affinati e potrebbero farsi influenzare nel dare responso.

Un’applicazione, quindi, che potrebbe essere molto interessante, l’impatto di smartphone e AI nell’ambito sanitario offre molti risvolti positivi, ovviamente come avverte il  dott. Justin Baker, psichiatra clinico del McLean Hospital di Cambridge nel Massachusetts, dovrà essere utilizzata con molta cautela e con la collaborazione di esperti clinici.

C’è anche chi come David Sontag, professore al MIT specializzato in machine learning e assistenza sanitaria, è cauto sul progetto.  Sontag evidenzia che i dati sono stati raccolti durante una videointervista con un vero clinico, anche se dietro un avatar, quindi non è ancora chiaro quanto la diagnosi possa essere completamente automatizzata. "La linea di lavoro è interessante", afferma, "ma non mi è ancora chiaro come sarà usato clinicamente".

Tuttavia, nuovi approcci per individuare e trattare le condizioni di salute mentale mantengono la promessa di rendere il trattamento più accessibile e forse più efficace. Un altro gruppo di ricerca presso Stanford ha sviluppato un chatbot per fornire una terapia comportamentale cognitiva semplice. I ricercatori dicono che l’approccio si è dimostrato efficace e che molti pazienti dicono che preferiscono effettivamente parlare con una macchina.

Fonte: MIT Technology Review

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