Se i Robot ci ruberanno il lavoro

"Gran parte dell’informazione che viene fatta nella stampa mondiale nel trattare il tema dei robot palesa il più delle volte, neanche troppo velatamente, timore e scetticismo. Il fatto che questi amici dell’uomo dall’intelligenza artificiale possano rubarci il lavoro, o che il bot che legge i cookie del nostro computer possa spiarci condizionando la nostra libertà di scelta, genera diffusa remissione e pessimismo. Tutto questo però non aiuterà la diffusione dell’innovazione tecnologica nel migliore dei modi, ma anzi ci porterà a soccombere alle minacce tanto auspicate. Un approccio del genere non è certamente innovativo, se volessimo approcciarci nel modo giusto, invece, dovremmo essere realistici e in grado di affrontare le complessità, cercando di trovare soluzioni alle questioni più difficili imposte dall’innovazione e dal cambiamento tecnologico".

Le società hanno una relazione di amore e odio con le tecnologie. La comunità tecnologica vede storicamente le tecnologie come affascinanti e le innovazioni tecnologiche illimitate. Il raddoppio del reddito pro-capite a livello globale negli ultimi vent’anni sono una dimostrazione dei benefit derivanti dalle tecnologie.  Per la comunità non tecnologica però questo non basta, i prodotti tecnologici seppur irresistibili, soprattutto quelli di consumo, fanno parte di una storia tecnologica che rimane insidiosa, il futuro è pieno di rischi  e le persone tech addicted rimangono sempre al solito noiose.

Secondo Rob Dowler, fondatore dell’Industry Forum e ex partner di KPMG, le attuali minacce per i posti di lavoro potrebbero apparire particolarmente acute perché seguono la crisi bancaria del 2008, dalla quale la crescita dei salari reali nei paesi occidentali non ha mai registrato completamente una ripresa. Inoltre, le nuove tecnologie della comunicazione mobile, dell’intelligenza artificiale, dei droni e dei veicoli che si guidano da soli sono inquietanti perché sembrano saltare fuori dalle pagine della fantascienza, a differenza degli sviluppi incrementali delle fasi precedenti. Secondo Dowler, dagli intensi dibattiti mediatici e dall’interesse politico di questi argomenti degli ultimi tempi, sembra invece di essere all’origine dell’era digitale. A Dowler piace pensare, tuttavia, che questa sia iniziata nel 1965 quando ebbe inizio la sua carriera come programmatore di computer. Considerazione che ammette potrebbe sembrare egocentrica, ma in fin dei conti non è del tutto indifendibile, anzi.

Dowler per cinque decenni è stato coinvolto nel rapido lancio e nell’evoluzione della tecnologia informatica e ha avuto una postazione privilegiata per osservare i cambiamenti derivanti dall’impiego di tale tecnologia. Il ricercatore pone in evidenza quanto sia facile sottovalutare gli enormi cambiamenti che già ci sono stati nei modelli di occupazione in questi cinquant’anni. Le grandi e ingombranti società degli anni sessanta e settanta si sono ridotte e sono talvolta scomparse, afferma, poiché i computer hanno preso l’incarico della raccolta dei dati, della conservazione dei record e della fornitura di informazioni che precedentemente derivavano da processi totalmente manuali. Gli anni ’80 hanno visto l’avvio di un’ampia adozione di personal computer, a tutto ciò ha fatto seguito il passaggio agli standard Internet per le comunicazioni, l’introduzione del web in tutto il mondo e il recente trasferimento di gran parte delle nostre comunicazioni ai telefoni cellulari e ai tablet wireless. Questi sviluppi hanno creato interametne nuove industrie e hanno  radicalmente rimodellato o eliminato le vecchie industrie esistenti; I lavori sono stati conseguentemente modificati, messi da parte o arricchiti.

Sercondo Dowler, i cambiamenti nella quale è stato coinvolto hanno costiutito ovviamente un’altra fase di cambiamenti tecnologici rispetto a quelli che hanno generato la rivoluzione industriale che a sua volta sostitui la nostra precedente economia agricola. Dowler ci invita a porci dei quesiti: vogliamo davvero mantenere quei lavori spesso-noiosi che sono scomparsi durante i primi cinquanta anni di informatica intensiva? Volevamo veramente mantenere i lavori ardui e spesso pericolosi nell’industria pesante e nel settore minerario dell’era industriale? E avevamo veramente voglia di mantenere i lavori indiscreti e poco pagati sulla terra, che caratterizzavano l’Inghilterra preindustriale? La risposta onesta a questa domanda retorica deve essere "no". Esso porta un "ma" molto grande, perché un lavoro non porta solo reddito, ma anche autostima, indipendenza e posizione nella comunità. Questi hanno spesso dimostrato ciò per cui vale la pena combattere e a volte morire.

I lavori ora sotto minaccia sono quelli dei piloti, dei lavoratori di logistica, dei lavoratori manifatturieri, dei lavoratori al dettaglio, dei minatori, dei soldati, dei lavoratori del sesso e persino dei ladri di banca. Naturalmente, alcuni di questi cambiamenti potrebbero fornire reali benefici sociali. Sostituire i lavoratori del sesso con i robot potrebbe tagliare la tratta di persone e altri mali sociali. È difficile immaginare un ladro di banca che utilizza un’auto che si guida da sola. Forse l’auto della polizia al suo inseguimento sarà sostituita da poliziotti nerd alla ricerca di hackerare il software in modo che l’auto consegni i cattivi direttamente alla stazione di polizia. Qualunque siano i vantaggi, è chiaro che milioni di lavoratori saranno probabilmente coinvolti dagli sviluppi di questa trasformazione digitale e tecnologica. Non possiamo essere certi che queste persone saranno rapidamente riassegnate ad un’occupazione ed evitare una disoccupazione dolorosa che ci sarà che auspichiamo che per la maggior parte delle persone sia temporanea.

Oltre alla disoccupazione emergono altre sostanziali problematiche. Le nuove tecnologie facilitano la misurazione delle prestazioni dei dipendenti. Questo è il vero pericolo che può far sentire i lavoratori come un ingranaggio in una macchina che non ha né tolleranza né comprensione. La chiusura della gestione quantitativa delle persone rende anche più facile estrarre i profitti e ridurre al minimo la quota di profitto a coloro senza posizioni e contrattazioni forti. La frammentazione della forza lavoro contribuisce anche alla mancanza di rappresentanza dei lavoratori.

Va detto però cha nonostante la crescita e la produttività dell’economia digitale, ci sono ancora molti posti di lavoro che devono essere costituiti. C’è un’enorme e crescente necessità di più operatori sanitari e enormi possibilità di supporto tecnologico in questo settore. Molti aspetti dell’educazione richiedono più personale. La cura dell’ambiente è attualmente trascurata e ci sono grandi esigenze non soddisfatte per il rinnovo delle infrastrutture. Il grande ostacolo è che, con le nostre attuali condizioni economiche, è quasi impossibile finanziare correttamente tale lavoro. Sarebbe altrettanto impegnativo e spesso impossibile recuperare i lavoratori disponibili per queste attività. Queste sono criticità da affrontare urgentemente.

Per Dowler, la sfida, pertanto, è trovare modi per sfruttare la grande ricchezza che si accumula nel settore tecnologico e finanziario, e allocarla con l’obiettivo di soddisfare le esigenze della società. Le azioni urgenti per il governo dovrebbero essere:

1. Innanzitutto, riconoscere che il cambiamento economico basato sulla tecnologia è potenzialmente illimitato e inarrestabile e che la politica industriale debba essere sviluppata su base sostenibile a lungo termine.

2. In secondo luogo, per incoraggiare la ricerca economica innovativa, si deve ampliare lo scopo del capitalismo oltre la massimizzazione dei rendimenti per gli azionisti guardando al rinnovamento di tutti gli aspetti dell’economia.

3. In terzo luogo, per migliorare la loro comprensione delle industrie moderne, per stabilire poteri di compensazione regolatori efficaci, è necessario concentrarsi sul cogliere le opportunità e sulla ricerca di modalità per alleviare le difficoltà transitorie.

4. Infine, piuttosto che opporsi è necessario promuovere la cooperazione internazionale senza che sia impossibile affrontare le questioni del commercio, della tassazione e dell’utilizzo vantaggioso della tecnologia. Ciò accresce il pluralismo nella teoria economica e una maggiore cooperazione nella gestione del cambiamento economico.

Francis Fukuyama, nel 1989, pronunciò provocativamente un happy end evidenziando l’apparente trionfo della democrazia liberale e il relativo approccio capitalista alla gestione economica. Era un’affermazione prematura. I seguaci di Milton Friedman e Ayn Rand hanno gestito in modo sconsiderato le economie mondiali in modo che gli enormi frutti del progresso tecnologico e della liberalizzazione del commercio, entrambi prodotti delle società che hanno investito nella sicurezza, nell’infrastruttura, nel benessere e nell’istruzione, sono cresciuti in modo sproporzionato però in minuscole elite. La risposta a ciò non è nel dare la colpa ai robot. Secondo Dowler i principi attuali dell’economia devono essere messi in discussione e cambiati, in particolare l’accettazione del breve termine finanziario. Questo è un lavoro, o meglio un proposito che devono perseguire e svolgere università, think tank e politici, almeno prima del momento in cui i robot super-intelligenti saranno pronti a ricevere le  nostre consegne.

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