Big Data: il problema di trovare i dati e le informazioni che contano

Oramai è risaputo che i Big Data sono una risorsa che permette di aggiungere valore ai processi produttivi, gestionali e aziendali. Dall’analisi dei dati possiamo rilevare delle informazioni determinanti per migliorare le nostre attività organizzative, pianificare nuove strategie, sviluppare nuovi prodotti. I computer hanno la capacità di processare una grande mole di dati ad una velocità elevata venendoci in aiuto e semplificando gran parte del nostro operato. L’opinione diffusa è che più dati si hanno in dotazione e migliori sono i risultati e le performance derivanti dalle analisi messe in opera. Questa è anche la filosofia della NSA, Agenzia per la Sicurezza Nazionale Americana,  nelle procedure di controllo mediante analisi predittive e Big Data.

Il concetto è che con più dati dovremmo avere maggiori capacità di comprensione, ma cosa succede quando abbiamo troppi dati, talmente tanti da superare e mettere in crisi la capacità umana di elaborazione e di comprensione di una particolare casistica di analisi?

Troppe informazioni possono renderci più difficile lo svolgimento del nostro lavoro di analisi e ricerca. I computer possono scandagliare dati con molta precisione, fino a giungere ad una minuziosa selezione e ad un’accurata definizione di un determinato campione per una particolare casistica, ma ciò potrebbe non essere sufficiente a risolvere più di qualche criticità. L’uomo può analizzare solo una certa quantità di dati alla volta, anche quando la macchina raccoglie e processa una moltitudine di informazioni al servizio dei nostri limiti. Le macchine possono offrirci molto, ma rimane all’essere umano il compito di prendere queste informazioni e di elaborarle per effettuare delle connessioni significative.

Sempre dall’America viene un esempio che calza a pennello con questa tesi e che riguarda il mondo del baseball, uno sport dominato dai dati che attinge molto all’arte della Big Data Analytics. L’ex giocatore Tony Clark, attualmente a capo della MLB player’s association, lo spiega bene in un’intervista rilasciata al giornalista del Boston Globe Nick Cafardo: “ C’è un valore nell’avere delle informazioni, ma c’è un danno nell’averne troppe”.

Nel baseball i dati tornano molto utili. I giocatori oltre al talento devono servirsi delle molte informazioni che gli forniscono gli esperti di statistica dei loro team e utilizzare questi dati, ad esempio, per migliorare le loro abilità nel colpire la pallina da baseball. Il problema che anche Clark ha messo in evidenza però è che ci sono dei casi in cui troppi dati messi sul paniere possono complicare le procedure di lavoro, allenamento e preparazione al match.

I giocatori come tutti noi, hanno un loro piano di lavoro. Una attività di analisi ben fatta, anche l’utilizzo degli algoritimi automatici sul computer li aiuta ad avere dei buoni dati per costruire il proprio training, ma se il volume di risultanti è troppo elevato, si deve selezionare e ritagliare dal rumore i propri dati per trovare le info più importanti e rilevanti in grado di fornirci un valore aggiunto per raggiungere risultato migliore. Ciò oltre ad essere una perdita di tempo diventa anche una perdità di focus operativo.

Altre volte ci si trova ad avere informazioni senza valore, averne tante ma con nessun spunto rilevante per pianificare il proprio progetto nel modo adeguato, la quantità può essere controproducente. In questo scenario quale sarà il futuro nel mondo dei Big Data? Le macchine continuano a processare una mole esagerata di dati, tutti i tipi di infodati ci vengono forniti ma molti hanno veramente delle valenze poco elevate, poco valore.

La sfida che ne deriva è quelle di trovare il giusto approccio, la giusta saggezza che ci permetta di ricavare dai dati informazioni virtuose per il nostro lavoro. Forse l’intelligenza artificiale sarà di grande aiuto in proposito, alla fine si tratta di trovare i dati che contano, se questo è l’approccio giusto per un giocatore di baseball, lo è anche per raggiungere il migliore cliente del proprio target o per implementare un nuovo prodotto, una nuova società o un nuovo governo, anche per le agenzie di sicurezza che devono prevenire l’eventualità di un attacco terroristico.

Qualunque sia l’esito, il dato non ha alcun valore intrinseco se non produce un risultato, per migliorare le performance il punto è sempre quello: il fatto di trovare i dati che contano di più è ancora un problema enorme.

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