L’Europa ha il suo backyard, l’Italia il suo orticello

Il continente europeo, e il suo progetto politico, vivono ormai da diversi anni una profonda crisi dove la paura del dissolvimento dell’Unione e il pubblicizzato ritorno a ottocenteschi Stati Nazione è sempre più palpabile. I crescenti tassi di disoccupazione, con cui si attesta il fallimento delle formule neoliberiste e l’inarrestabile flusso di lavoratori provenienti dai territori dell’est Europa e dalle coste nord africane, pronti ad accettare ogni tipo di condizione lavorativa, sono benzina sul fuoco che alimenta scelte dissennate, come la Brexit, a cui anche il nostro paese è esposto. L’influenza delle vittorie politiche di movimenti populisti e nazionalisti, che non si fanno certo mancare uscite e atteggiamenti tipici del nazionalsocialismo, spingono l’attenzione solo su alcuni temi, tralasciandone altri tra cui il sempre meno trattato tema del lavoro. L’Europa rappresenta per l’Italia la realtà a cui nessuno può voltare le spalle, l’economia italiana sarebbe spazzata via senza la moneta unica o il libero mercato europeo; che nell’export registra per l’Italia ottimi risultati, di cui la maggior parte dei cittadini non è informata o non ne trova riscontro durante i dibattiti sui media nazionali. Tra i molteplici problemi che il nostro paese deve affrontare, oltre al non muoversi con un’unica visione nazionale, corre il rischio di perdere completamente il potere decisionale su quanto di Made in Italy è oramai rimasto. Molte delle aziende che hanno reso l’Italia conosciuta nel mondo, per la qualità manifatturiera, durante l’imperversare della peggior crisi economica, scoppiata nel lontano 2008, hanno cercato un salvagente nei capitali esteri, facendosi guidare da un naturale istinto di sopravvivenza. Questo approdo, però, ha dato mano libera a capitali tedeschi e francesi in primo luogo, per comprare i CDA di diverse PMI. L’assenza totale delle nostre istituzioni, impegnate nella difesa di scelte favorevoli solo alla distruzione dei diritti acquisiti in anni  e del mondo del lavoro, ha lasciato delle sane realtà produttive alle cure di capitali e interessi che, sfortunatamente per noi, non sono quelli italiani. Il convivere con capitali stranieri, il doversi confrontare su mercati internazionali, l’interagire con diversi partner, tutto questo fa ormai parte della realtà del XXI° secolo a cui tutti noi apparteniamo e a cui le experties italiane sono perfettamente capaci di confrontarsi. La colpa, ancora una volta, è da attribuire alla nostra classe dirigente che non ha difeso, con leggi e politiche serie l’interesse e la prosperità del nostro orticello.

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