Nasce la nuova Agenzia per la Coesione Territoriale

Nel quadro del decreto legge sulla pubblica amministrazione, su proposta del Ministro per la Coesione Territoriale, Carlo Trigilia, il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato l’istituzione dell’Agenzia per la Coesione territoriale “per il monitoraggio sistematico e continuo dei programmi operativi e interventi della politica di coesione, nonché“per il sostegno e l’assistenza alle amministrazioni che gestiscono programmi europei e nazionali”sia con “iniziative di formazione del personale delle amministrazioni interessate”, sia anche interventi per “l’accelerazione e la realizzazione dei programmi”.

“L’Agenzia – ha detto il Ministro al termine del Consiglio dei Ministri – sarà lo strumento di una strategia più ampia che deve vedere le amministrazioni locali e centrali impegnate in uno sforzo nazionale per fare dei fondi uno strumento fondamentale della ripresa di tutto il Paese. Essa sarà comunque solo un tassello importante, perché il vero nodo è la capacità del nostro sistema istituzionale di funzionare in modo integrato. Nazionale non vuol dire, infatti, tornare ad un neocentralismo ma riuscire a far lavorare insieme Governo, Regioni e forze sociali nell’interesse del Paese”. (http://www.coesioneterritoriale.gov.it/cdm-istituzione-agenzia-per-la-coesione-territoriale/)

L’Agenzia, pensata dall’ex ministro Fabrizio Barca e ripresa dall’attuale, Carlo Trigilia, con il compito di "rafforzare l’azione di programmazione, coordinamento, sorveglianza e sostegno della politica di coesione" e il cui statuto dovrà essere emanato entro il 1° marzo 2014 con decreto del Presidente della Repubblica potrà, in alcuni casi specifici e su indicazione del Ministro per la Coesione territoriale, anche svolgere compiti diretti di autorità di gestione tanto per progetti sperimentali, quanto nell’ipotesi di gravi inadempienze e ritardi di alcune autorità di gestione dei programmi, nei riguardi dei quali può assumere poterisostitutivi, dovrà svolgere tre tipi di funzioni:

· monitoraggio sistematico e continuo sull’uso dei fondi;

· sostegno e assistenza tecnica alle amministrazioni interessate nella gestione dei programmi, sia attraverso attività di formazione specifica del personale, sia con apposite strutture di sostegno alle amministrazioni, per quanto riguarda in particolare la gestione degli appalti pubblici;

· svolgimento, in alcuni casi bene definiti, di compiti diretti di autorità di gestione tanto per progetti sperimentali, quanto nell’ipotesi di gravi inadempienze e ritardi di alcune autorità di gestione dei programmi, valutati dal Presidente dei Consiglio e dal Ministro per la Coesione territoriale.

L’Agenzia dovrebbe quindi svolgere un compito di coordinamento e di indirizzo delle politiche di coesione, rafforzando il ruolo dello stato centrale, per assicurare che i fondi non vadano persi, come potrebbe accadere con l’attuale quadro finanziario. Con il 2013 si conclude infatti il periodo di programmazione delle politiche europee di coesione 2007-2103, uno dei più generosi e articolati per quantità e tipologia di finanziamenti. Sprechi e ritardi nella spesa in Italia ci sono stati e non si può negare che dietro gli alti tassi di crescita della Polonia o dei Paesi baltici (trai migliori del continente) ci siano anche i soldi ottenuti dall’UE e investiti nelle infrastrutture fisiche, nel turismo e nella riconversione economica.

Se la crescita di alcuni Paesi dell’Europa orientale è stata sicuramente notevole, non si può dire altrettanto per Grecia, Spagna, Portogallo e Italia (ma anche Belgio, Francia, Irlanda) dove le politiche comunitarie hanno fallito, con percentuali di assegnazione intorno al 40-50% dei fondi disponibili (Puglia, Basilicata, Lazio, Piemonte), mentre in Sicilia e Calabria solo il 27 e il 23% di spesa a pochi mesi dalla fine del periodo di programmazione. Le quote di cofinanziamento non impiegate sono fondi persi, in quanto si tratta di soldi che tornano alla UE.

La costituzione dell’Agenzia, per il Governo, è un passo significativo nella direzione del necessario miglioramento dell’utilizzo di risorse strategiche per lo sviluppo del Paese che comporteranno per i prossimi sette anni l’impiego di circa 100 miliardi di euro, includendo le risorse europee e quelle nazionali.

La Commissione europea ha già dettato le linee guida per il periodo di programmazione 2014-2020, mettendo in campo misure ancora più stringenti per evitare gli sprechi, i ritardi e la dispersione dei finanziamenti. Una prima “rivoluzione” avverrà sugli obiettivi delle politiche, determinati con precisione sempre maggiore. Il diktat è concentrare le risorse ed evitare la frammentazione. I fondi verranno destinati soprattutto all’innovazione, alla ricerca, all’ambiente e alle infrastrutture strategiche, con progetti preferibilmente di grande importo.

Una delle ragioni per cui è stata istituita è anche il fatto che restano 16,7 miliardi di fondi strutturali da assorbire entro il 2015 e poco meno della metà potrebbe non essere allocata e stanno arrivando per il nuovo ciclo di programmazione Ue (al netto di ulteriori e ancora possibili tagli sul budget 2014-2020) ben 29,38 miliardi di fondi strutturali per le politiche di coesione dell’Italia (di cui ben 20,262 miliardi per le regioni meno sviluppate e 1 per quelle in transizione, 6,982 ai territori più sviluppati e 994 milioni per la cooperazione territoriale), che si attesta seconda beneficiaria in Europa, in termini assoluti, dopola Polonia, principale beneficiaria con 72,568 mld.

Di sicuro sinora la gestione di questi fondi, come afferma la Commissione Europea, è stata poco responsabile impedendo di fatto un reale sviluppo dei territori. I motivi per i quali il problema della mancata spesa dei soldi europei in Italia è così forte sono vari. È prima di tutto un problema amministrativo, con Ministeri, Regioni ed Enti locali che impiegano tempi biblici per redigere bandi, decidere sui progetti, iniziare i lavori. Ed è anche una questione strutturale: in Italia c’è la tendenza a frammentare i finanziamenti in numerosi progetti di importo minimo, inutili per lo sviluppo locale e difficili da controllare. In parte incide anche la difficoltà delle imprese italiane a trovare liquidità per “accompagnare” la quota europea, che in quanto cofinanziamento richiede sempre la presenza di una fonte di spesa anche locale. Il risultato è sempre lo stesso, il finanziamento ritorna all’UE e i progetti non vengono avviati/conclusi.

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