Sport, riabilitazione, sanità: intervista all’Onorevole Laura Coccia

È con particolare piacere che si è intrapreso un dialogo con l’Onorevole Laura Coccia, nota per il suo alto impegno nel campo della riabilitazione motoria, cognitiva e sociale. Le abbiamo formulato alcune domande, che meritano di essere lette con attenzione, con la speranza di dare con queste pagine un ulteriore contributo alla collettività, con evidenza alle autorità politiche nazionali e regionali affinchè tengano presente questa categoria molto vicina al pensiero del Paese.

Gentile On. Laura Coccia la sua è una vita all’insegna dello sport, ma anche della sanità, dell’istruzione, di diritti e della tutela dei lavoratori, oltre che di integrazione e assistenza sociale. Molti sono i valori per la quale si batte, ed in sede di questa intervista con poche domande vorremmo avere un quadro della sua visione, che tocchi buona parte di questi elementi, in relazione, anche alla recente digitalizzazione e diffusa innovazione tecnologica (temi a cuore al nostro magazine) che, inevitabilemente, sta contaminando tutti questi ambiti:

1)       Onorevole, lei è da sempre molto legata allo sport,  che tipo di rapporto c’è, secondo lei, con la riabilitazione motoria e cognitiva?

Io sono una sportiva e vivo sulla mia pelle quanto l’attività fisica sia anche e soprattutto attività di tipo cognitivo e sociale. Mi sembra che si possa superare la dicotomia tra riabilitazione cognitiva e motoria, cercando di muoverci verso una compenetrazione di entrambe. E forse andando anche oltre il concetto di riabilitazione, parlando unicamente di formazione. Così per i normo dotati, così per le persone disabili dalla nascita, per le persone con infortuni, per i disabili che lo sono diventati. Mantenendo le necessarie distinzioni di trattamento, ma con un medesimo obiettivo legato allo sviluppo della persona e alla valorizzazione delle sue capacità.

2)       Proprio per ciò che concerne la riabilitazione ed il legame con l’innovazione tecnologica ed il digitale, qual’è il suo impegno nell’ambito della telemedicina? Cosa ne pensa? Inoltre: quale funzione può avere oggi la comunicazione digitale, in ambito sociale (anche, se vogliamo, in termini di inclusione) proprio in direzione dei meno fortunati, dei disabili e delle minoranze?

Non sono un’esperta di telemedicina, ma vedo, ogni giorno, che il percorso verso la piena cittadinanza può essere agevolato dalla tecnologia digitale. Sia quella che offre nuovi strumenti per la riabilitazione e formazione in senso stretto, sia per quella che attraverso app e strumenti più immediati e diffusi, può aiutare a vivere meglio sia il percorso di riabilitazione sia le nuove forme di abilità, acquisite magari dopo un incidente.
Oggi la tecnologia digitale e la sua diffusione possono essere armi feroci se incontrollate o se non realmente spiegate alle persone. Basti pensare agli episodi di linciaggio sui social o al dramma del cyber bullismo. Io però voglio credere che tutto questo sia minoritario e possa essere superato e voglio guardare agli aspetti che, appunto, possono agevolare la vita di migliaia di persone.

Mi riferisco alle app che possono aiutare ipovedenti e ciechi nei percorsi quotidiani, piuttosto che app che indicano strutture accoglienti per disabili motori. Il mondo digitale può essere una ricchezza e offrire strumenti inimmaginabili fino a oggi, diffondendoli in maniera capillare.
Il 3 Aprile alla Camera ho organizzato una iniziativa dal nome “La disabilità non si ferma – Verso la piena cittadinanza.” È un percorso ancora lungo, ma proprio il digitale potrà darci un grande aiuto.

3)       Nel suo background c’è anche un forte legame con il mondo dei lavoratori, rimanendo nel fenomeno “tele…”, cosa ne pensa del telelavoro e della sempre maggiore diffusione soprattutto in ottica smart working?

Ogni innovazione va studiata e regolamentata, non per essere rinchiusa o repressa, bensì per fornire la possibilità a tutti di utilizzarla al meglio e in regime di pari opportunità. Il telelavoro può essere e sarà una risorsa. Oggi occorre fare lo sforzo per considerarlo, e regolarlo, perché non sia solo una risposta alla crisi e alla necessità di risparmi ed efficienze economiche delle aziende. Oggi il telelavoro può e dovrà essere lo strumento, o l’insieme di strumenti  procedure, per cui ciascun lavoratore, con giuste tutele e doveri, potrà offrire il massimo del suo contributo considerando le abilità, le capacità e le opportunità. Con uno sguardo importante non solo alla mobilità del lavoratore, ma anche a una nuova visione del life balance.

4)       Di recente ha dichiarato :” ll Populismo non ama lo sport. Ed evidentemente non ama quello che lo sport può rappresentare…”, ha parlato di “strumentalizzazione” e di occasioni perse; in relazione a questo, quali sono i consigli che darebbe a chi fa comunicazione pubblica? Crede, inoltre, che sarebbe opportuno avviare un’azione di comunicazione mirata, al fine di sensibilizzare la popolazione circa l’importanza dello sport per lo sviluppo della società odierna, andando a sfruttare tutti i canali di comunicazione digitali oggi disponibili?

Parto segnalando due importanti fenomeni in un Paese “calciocentrico”: l’attenzione crescente attorno al mondo del Rugby e l’attenzione mediatica, costruita in maniera egregia dalla Rai, sulle Parolimpiadi di Rio 2016. Io credo che questi siano due segnali importanti. In entrambi i casi si amplia lo spettro di cosa significa sport. Oltre il calcio, appunto, oltre al competizione, lo sport è qualità della vita, sia in senso fisico, sia in senso morale e valoriale. Oggi riuscire a trasmettere, non solo durante i grandi eventi,  tutti i valori dello sport non solo è la vera sfida della comunicazione, ma anche la grande opportunità. Verso una società sempre più sedentaria e che affronta nuove malattie o forme di allergie e intolleranze, lo sport e la sua comunicazione possono essere messaggio e pratica di stili di vita corretti.  Di fronte al bullismo che sembra sempre più cattivo, la comunicazione sportiva può diventare veicolo di sentimenti quali rispetto, lealtà, coesione dei gruppi, attenzione verso chi ha diverse abilità, appunto.
in un mondo che costruisce muri e punta all’individualismo, lo sport può riportare in auge i valori della solidarietà e del gioco di squadra.

5)       Ancora, proprio in linea con l’ambito dell’innovazione, e andando ,magari un po’ fuori dal “suo” seminato, le chiediamo in relazione ad uno dei temi più in auge, anche nel nostro magazine, che è quello dell’ Industria 4.0: cosa ne pensa di questo tema? Secondo lei anche in relazione alla forza lavoro, quanto bene può fare al nostro Paese questa nuova frontiera di settore? In che modalità?

Come già detto, credo che ogni evoluzione vada studiata, conosciuta e regolata per coglierne tutte le possibilità e cercare di limitarne danni e storture, Vista dal mio osservatorio, ovvero di una persona disabile che lavora ogni giorno perché ciascun cittadino, con le sue diverse abilità possa trovare il suo posto nella società e possa trovare il modo per realizzare a pieno la sua cittadinanza, l’industri 4.0 può essere un’occasione.

Certo, essendo un mondo nuovo, la quarta rivoluzione industriale come la chiama qualcuno, occorrerà guardarla e affrontarla con occhi e paradigmi nuovi. Certamente si perderanno funzioni nella parte di hardskill e strettamente legati alla produzione, ma aumenteranno gli spazi per le soft skills, le capacità, la creatività, il pensiero organizzativo.  La vera sfida per le persone e per il lavoro delle persone, sarà giocata sulla raccolta e interpretazione dei big data. Ma sarà fondamentale quella che una volta si chiamava l’interazione uomo-macchina, non solo in termini ergonomici e dal alto produzione. I nuovi lavoratori, i nuovi designer, i nuovi ingegneri dovranno fare sempre più i conti con l’universal design e l’usabilità di prodotti, che siano questi materiali o digitali. E, proprio in questa ottica e in questi campi credo che si possano aprire importanti opportunità per le persone con diverse abilità, ampliando lo spazio per una cittadinanza piena e cosnapevole.

6)    Riprendendo il legame tra sport e riabilitazione motoria, vorremmo ora fare cenno ad una fondazione del Lazio tra le prime in Europa nel campo delle neuroscienza e della riabilitazione all’interno del quale lei è stata coinvolta in prima persona: che ruolo ha avuto nel suo percorso di crescita l’IRCCS Santa Lucia e che ricordo ha della sua esperienza presso la Fondazione? Quali sono, secondo lei, le priorità e le necessità per salvaguardare questa struttura in un periodo come quello recente che l’ha vista in crisi?

Ho trascorso al S. Lucia tantissimi anni, dal 1989 al 2001, ho avuto al mio fianco persone qualificate e appassionate che mi hanno saputo aiutare non solamente in ambito fisioterapico ma anche dal punto di vista umano, soprattutto durante l’adolescenza.

La Fondazione S. Lucia ha una struttura complessa composta anche dalla parte della ricerca che va tutelata perché dai risultati può migliorare la qualità della vita delle persone. Inoltre la riabilitazione è eccellente, da questa dipende la possibilità di miglioramento delle persone. Queste strutture sono un patrimonio italiano ed europeo, per questo tutti dovrebbero fare la loro parte per tutelarle.

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