A tu per tu con Maria Pia Di Nonno: futuro, giovani e lavoro, seguendo l’esempio di Adriano Olivetti

Maria Pia Di Nonno è una giovane studiosa attenta alla storia politica e sociale dell’Europa, ha scritto una brillante tesi su Adriano Olivetti, pubblicata per la Collana Intangibili e riconosciuta di grande importanza, dal titolo “Una democrazia a misura d’uomo: la comunità olivettiana come luogo di risanamento politico, socio-economico e morale”, ed è stata premiata con il Premio Giacomo Matteotti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Maria Pia sta conducendo un progetto di ricerca virtuoso sulle Madri Fondatrici d’Europa, ovvero, quelle donne che hanno dato un forte contribuito al cambiamento intellettuale di rotta dell’Europa. L’abbiamo incontrata e gli abbiamo fatto alcune domande, dalla quale sono uscite delle grandi risposte a caratterizzare il forte impegno di una giovane donna che, anche se non lo ammette, sembra avere le idee molto chiare.

1 – Essere un ricercatore in Italia, ovvero: fare molti sacrifici. Troppo spesso mancano gli adeguati riconoscimenti per l’impegno che i giovani apportano nella ricerca ogni giorno. Oggi come ieri tutto rimane immutato? Ci racconta com’è la vita del ricercatore oggi e se sta cambiando qualcosa nella valorizzazione di questo settore?

E’ vero. Fare il ricercatore, sebbene per adesso sia ancora una dottoranda, richiede molti sacrifici. E’ inutile negarlo. Tuttavia andrebbe anche detto che il vero ricercatore, quello che ha passione, non si lascia spaventare dalle difficoltà ed è conscio che il suo sia il mestiere più bello del mondo. Per la mia esperienza, posso dire, che non c’è cosa più bella di alzarsi al mattino e mettersi a leggere e a scrivere; andare in biblioteche e archivi, fare interviste. Il ricercatore è una persona che, se sa cogliere il bello del suo mestiere, è felice. E non importa se la borsa di dottorato superi di poco le 1000 euro, perché ciò che il dottorando (ma lo stesso ragionamento vale per il ricercatore) guadagna dal confronto con gli altri, dallo studio è molto più prezioso di uno stipendio di 2000 euro. Ovvio, però, che questo è un ragionamento che fa chi veramente ha passione. Il dopo, certo, spaventa. Ma penso che se si riuscisse a creare una rete, come EURES per gli scambi professionali, per i giovani studiosi che vogliono fare ricerca, il futuro farebbe meno paura.

Non saprei affermare se oggi la condizione del ricercatore sia mutata, non potendo fare un diretto confronto con il passato, ma certamente oggi come ieri è necessario lavorare su un punto: far comprendere che la cultura ha un prezzo, fare cultura è un lavoro. Fare ricerca, questo è un mito da sfatare, non vuol dire non lavorare. Certo quando uno fa un lavoro che gli piace, ha l’impressione di non lavorare; ma questo non mette in dubbio che la ricerca scientifica e umanistica sia un lavoro.

Un grosso problema del nostro sistema è la non tutela del merito. Ad esempio, io sono stata direttamente “vittima” del mio merito, perché un anno riuscii a percepire quattro borse di studio. Due dell’Ex Inpdap (sebbene per lentezza burocratica mi vennero addebitate in uno stesso anno due borse di studio di due anni differenti), una per il Progetto Erasmus Placement e una da parte di un ente privato. Ebbene la normativa italiana prevede che oltre una soglia (veramente irrisoria) di nemmeno 3.000 euro le borse di studio vengano considerate reddito e il giovane risulti non più a carico fiscale dei propri genitori. Una follia. Come si può pensare che uno studente che studia fuori (a maggior ragione se in una città come Roma, dove agli studenti vengono proposti affitti esorbitanti) possa ritenersi non più a carico dei propri genitori per aver ricevuto nemmeno 3000 mila euro di borsa di studio?

Infine va anche specificato che ogni borsa di studio è normata diversamente. Questo non fa altro che alimentare inuguaglianze anche tra i beneficiari delle borse. Alcuni saranno penalizzati (perché aiutati da enti privati ad esempio), altri supportati perché l’erogazione viene da dei fondi regionali. Infine ci sono borse, come quelle dell’Ex Inpdap, la cui fattispecie non è chiara e che danno adito a diverse interpretazioni. L’art. 34 della nostra Costituzione promuove il merito – I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”- passa, così, completamente inascoltato. La burocrazia, in questo caso quella tributaria, ha la meglio sulla Costituzione. Spero con tutto il cuore che qualche politico o amministratore di buon cuore trovi presto il modo per risolvere questa incresciosa situazione.

2 – Ha redatto una tesi molto importante su Adriano Olivetti, cosa ha stimolato questa scelta? Che cosa rappresenta per Maria Pia Di Nonno quella figura imprenditoriale, quell’uomo, quel politico?

La mia tesi Una democrazia a misura d’uomo: la comunità olivettiana come luogo di risanamento politico, socio-economico e morale è frutto di una serie di fortunate coincidenze, incontri casuali e curiosità.

Come ho scoperto, invece, l’eclettica figura di Adriano Olivetti? In realtà grazie ad una lezione tenuta da un professore, da un incontro con la professoressa Melina Decaro e dai suggerimenti di Beniamino de’ Liguori Carino, figlio di Laura Olivetti, e attualmente Segretario Generale della Fondazione Olivetti nonché Direttore Editoriale delle Edizioni di Comunità. Gli incontri fortunati si sono poi susseguiti e un forte sentimento di riconoscimento lo devo anche a Francesca Limana – che mi consigliò di partecipare al Premio Giacomo Matteotti 2014 “Sessione Tesi” e a Giuseppe Palladino (Presidente BCC San Giovanni Rotondo) Gina Vergura e Michele Notarangelo per la pubblicazione della tesi.

Infine, un grazie ancor più speciale va a Gabriele Panizzi, il mio cicerone nell’universo olivettiano e anche il tramite che mi ha fatto scoprire gli aspetti meno conosciuti di Adriano Olivetti. Non solo l’Adriano Olivetti politico e il suo Movimento Comunità, che videro lo stesso Panizzi protagonista in gioventù, ma anche l’Olivetti europeista. Olivetti, infatti, fu uno dei primi a ricevere il Manifesto di Ventotene e venne invitato in Svizzera a partecipare alla costituzione, che si svolse a Ginevra nel 1951, del Consiglio dei Comuni d’Europa (adesso Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa, CCRE). Nello stesso Movimento Comunità, d’altronde, vi era un’anima tutta europeista promossa da Umberto Serafini, che fondò poi la sessione italiana del CCRE.

Che cosa rappresenta per me Olivetti? Non solo un grande ingegnere, urbanista, politico, editore ma è stato un uomo grazie al quale sono maturata come persona e come studiosa. Senza l’incontro con il pensiero di Olivetti, oggi non saprei se avrei fatto il dottorato di ricerca. Adriano Olivetti è stato in nuce l’artefice della mia ricerca di dottorato sulle Madri Fondatrici dell’Europa.

3 – Attualmente sta seguendo un progetto sulle Madri Fondatrici d’Europa, come è nata l’idea e come si sviluppano le attività e le ricerche di questa iniziativa, quali sono le finalità principali?

L’idea di sviluppare un progetto sulle Madri Fondatrici è sempre frutto del mio incontro con Adriano Olivetti. Mentre ero presa a fare ricerca per la tesi, un giorno in Fondazione Olivetti mi venne presentato Gabriele Panizzi. Gabriele Panizzi ebbe modo di conoscere oltre ad Adriano Olivetti altri personaggi straordinari come Altiero Spinelli e Umberto Serafini. E fu proprio lui ad indirizzare i miei studi anche verso l’Adriano Olivetti più europeista. Sia Olivetti che Spinelli, infatti, pensavano che la guerra fosse scaturita dallo Stato accentratore e burocrate. Solo che mentre Spinelli partiva dall’alto, Olivetti esaltava le autonomie locali. Pensiero questo poi ampliamente sviluppato da Umberto Serafini.

Fu così che cominciai a interessarmi nuovamente all’Europa. Comprai l’autobiografia di Spinelli e lessi che Adriano Olivetti fu uno dei primi a ricevere il Manifesto di Ventotene tramite Ursula Hirschmann (moglie prima di Colorni e poi, dopo l’uccisione di Colorni, di Spinelli). Mi incuriosii e cominciai a fare ricerca su quella donna per me sconosciuta. Un giorno la andai a trovare al cimitero di Piramide dove è sepolta. E li tra me e me le feci la promessa che mi sarei impegnata affinché donne come lei fossero ricordate. 

“La sua lapide, così tanto immersa nel verde, a mala pena consente di intravedere il suo nome. Quasi come se quel verde stesse a rappresentare la sua speranza: il sogno di un’Europa Unita, garante dei diritti e contraria ad ogni tipo di discriminazione.” [Leggi tutto l’articolo]

Ciò che mi colpì subito fu che sebbene già alcuni studiosi avessero affrontato il tema delle donne nel progetto europeo ancora nessuno avesse avuto il coraggio di definirle “Madri Fondatrici dell’Europa”. Infatti, sui motori di ricerca, non compare il termine “Madri Fondatrici dell’Europa o dell’Unione Europea” prima del mio articolo, scritto quasi due anni fa. Fu così che decisi di coinvolgere un gruppo di giovani studiosi dell’Istituto Luigi Sturzo e proporre un Ciclo di Conferenze sulle Madri Fondatrici. Sono molto grata a quei giovani, all’Istituto Sturzo e al prof. Luigi Vittorio Ferraris che hanno avuto la lungimiranza di comprendere quanto il tema fosse rilevante. Molti, infatti, inizialmente non compresero il vero senso della ricerca affermando “Ma ci saranno state delle donne, ma non importanti quanto i padri fondatori”. E fu così che lanciammo allo Sturzo l’idea di un ciclo di conferenze dedicandolo con coraggio non alle donne europee, ma alle madri fondatrici dell’Europa.

Dopo una breve parentesi lavorativa, che però non soddisfaceva il mio animo e le mie aspirazioni, pensai così di investire tutte le mie risorse su quella ricerca. Mandai all’incirca dieci domande per accedere a dei dottorati di ricerca e alla fine, contro ogni mia speranza, passai il concorso con borsa proprio alla Sapienza in “Storia D’Europa”. Ma qual è la finalità ultima di questa ricerca? E’ quella di raccontare un’Europa diversa. Un’Europa che valorizzi i più fragili e i diversi. Un’ Europa Madre che abbracci i suoi popoli, piuttosto che dividerli come una matrigna cattiva. Un’Europa che sappia ascoltare. E la storia di queste donne è un esempio che la storia può essere diversa e che soprattutto è possibile, e necessario, raccontarla.

Concludo con un simpatico episodio. Durante uno dei tanti colloqui per ottenere la borsa di dottorato finiti male, uno dei membri della Commissione mi chiese con supponenza “Ma qui c’è scritto che lei vuole raccontare una storia diversa. Non le sembra un po’ troppo fantasioso?”. La mia risposta, anche alquanto secca, fu “Non sono io a dirlo. Lo stesso Robert Schuman evidenziava quanto fosse importante la disintossicazione dai manuali di storia”. In particolare quei manuali che raccontano la storia dal proprio punto di vista e alimentando, sin da piccoli, un pericoloso sentimento nazionalista.

4 – La ricerca, ma anche il lavoro e la tutela dei diritti dei lavoratori. Come crede che sarà il mondo del lavoro di domani? Cosa attende ai giovani, ai bambini, che in un domani non troppo lontano dovranno accedere a questo mondo complicato e difficile?

Posso dirle che questa è veramente una bella domanda. Cosa attende ai giovani e ai bambini in un domani non troppo lontano? Come crede che sarà il mondo del lavoro di domani? Ho riflettuto a lungo, già in passato, sulla questione. Ho il timore che il mondo di domani, come uno dei libri di George Orwell o di Aldous Huxley, potrebbe diventare invivibile. Il pianeta è sempre più stracolmo di immondizia, come la città di Leonia descritta da Italo Calvino, le città diventano sempre meno accoglienti e ai giovani si insegna sempre meno a pensare. Le lauree che vengono meglio considerate sono quelle scientifiche o comunque altamente specialistiche. Le materie umanistiche appaiono sempre più come una perdita di tempo. Inoltre, i lavori che vengono offerti ai giovani sono sempre più specifici e consistono nel passare le proprie giornate davanti ad un computer.

Il lavoro diventa sempre più alienante e ripetitivo e nelle grandi multinazionali ogni dipendente è solo un pezzettino minuscolo dell’ingranaggio. Vige la logica errata della massima efficienza e del concetto: “Visto che sei tra i pochi fortunati ad avere un lavoro, è necessario che tu ricambi questa tua fortuna lavorando ben oltre le otto ore al giorno”.

Certamente all’inizio un po’ di gavetta deve esser fatta. Ma arrivare a non avere più una vita privata lo trovo qualcosa di sconcertante. I giovani, che sono sempre meno sognatori, tendono a ritenere queste condizioni normali. I diritti, vale la pena ricordarlo, vanno tutelati e protetti. I diritti non sono mai dati una volta per tutte. Ecco perché è necessario che i giovani sviluppino sin da piccoli una coscienza critica.

Se continuiamo di questo passo rischiamo che l’uomo finisca per il vivere sottoterra, dopo aver distrutto ed inquinato la terra, e che diventi via via succube delle macchine. Una sorta di piccolo nano lavoratore schiacciato dalla prepotenza della tecnica. E queste non sono riflessioni poi così tanto fantasmagoriche, molti sono gli studiosi che si stanno cimentando sul tema e sulle sue mille sfaccettature. Il professore Dominique Lambert dell’Università di Namur ha scritto nel 2014 un bellissimo articolo dal titolo enigmatico “L’homme robotisé et le robot humanisé: défis anthropologiques et éthiques”.

E’ necessario che gli uomini imparino a gestire la tecnica intesa in senso generale e a dar peso ai veri valori della vita promuovendo un umanesimo integrale, come auspicava il filosofo personalista Jacques Maritain.

5 – Cosa vuole fare da grande Maria Pia Di Nonno?

Cosa voglio fare da grande? Questa è una domanda che mi ha sempre spaventata. Sia perché a ventisei anni non si è più tanto piccoli, sia perché io stessa non so esattamente dove andare. Il dottorato è una strada, è un’esperienza che mi sta arricchendo, ma non ho idea di dove mi porterà. Mi sento un po’ come Alice nel Paese delle Meraviglie.

Alice incontra nel suo viaggio alcuni bizzarri personaggi tra questi il Bianconiglio, i Palmipedoni e lo Stregatto. 

Il Bianconiglio incuriosisce così tanto Alice che lo segue fin dentro la tana, i Palmipedoni ad un certo punto compaiono dal nulla per indicare ad Alice la strada e quando Alice giunge ad bivio si trova davanti a sé un albero con tante indicazioni “Up” “Back”That way”This Way”. Alice è confusa, e mentre si domanda “Che strada dovrò prendere?” compare lo Stregatto che le dice “Tutto dipende da dove vuoi andare” e Alice ribadisce “Bhe, veramente importa poco purché io riesca…” e lo Stregatto ribatte ancora “Bhe allora importa poco che strada prendi”.

Ho seguito anch’io il Bianconiglio, la curiosità, che mi ha condotta a scoprire il pensiero di Adriano Olivetti. Per caso ho pensato di focalizzare le mie ricerche sulle Madri Fondatrici dell’Europa, come se i Palmipedoni mi abbiano indicato la strada, e poi tutto di un altro sono tutti spariti, Palmipedoni e Bianconiglio, ed è rimasto solo il Bivio e lo Stregatto: “Se non sai dove andare, allora importa poco che strada prendi”. Molti danno a questo episodio un connotato negativo “Se non sai dove andare, nessuna strada ti ci porterà”. Tuttavia, penso, che si possa interpretare questo episodio positivamente, del tipo “Se non sai dove andare, comunque camminando troverai la strada”. Spesso si ha l’impressione di lavorare a vuoto, di correre senza meta. Ma forse, in fin dei conti, sebbene la strada non sia chiara c’è qualcosa che ci spinge, come i Palmipedoni, nella direzione giusta. L’importante è fare qualcosa di buono per gli altri, il resto son certa che verrà da sé. 

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